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La stretta sulle rendite di un governo che non mantiene le promesse (e fa bene)

Lorenzo Borga

Dagli immobili al sistema previdenziale (passando per le decontribuzioni al ceto medio-basso): per fortuna questo esecutivo ha contraddetto il proprio programma elettorale

Alcuni mesi fa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva messo nel mirino le “rendite”, nel corso dell’intervento conclusivo del forum The European House Ambrosetti a Cernobbio. In molti si erano interrogati su quale fosse il reale obiettivo del ministro, visti i forti legami che caratterizzano il governo di cui fa parte con alcune delle lobby più irriducibili del paese (taxi e balneari su tutti). Col passare dei giorni la frase era finita nell’oblio, eppure nella manovra di bilancio proposta dall’esecutivo si ritrovano in effetti casi concreti di limitazione delle rendite. Il problema (per il governo e la maggioranza che lo sostiene, non per il paese) sta semmai nel fatto che i provvedimenti sono di segno opposto a quanto inserito nel programma del centrodestra con cui Giorgia Meloni ha vinto le elezioni.

 

Partiamo dagli immobili, di per sé una forma di investimento patrimoniale che può garantire una rendita (come accade ai milioni di cittadini italiani che prediligono il mattone). Gli affitti ne sono un esempio, su cui in Italia la tassazione è stata progressivamente ridotta negli anni fino ad arrivare al 10 per cento di cedolare secca in alcuni casi specifici. In controtendenza, questo governo ha deciso di incrementare l’imposta sugli affitti brevi fino al 26 per cento nel caso in cui si gestisca più di una casa. Vero, il gettito è irrisorio (meno di 10 milioni all’anno). Ma il conto per il settore immobiliare non si ferma qui: secondo l’associazione dei costruttori Ance in manovra ci sarebbero incrementi della pressione fiscale per quasi 2 miliardi di euro in tre anni, soprattutto a carico delle aziende edili.

 

Di rendite il sistema previdenziale italiano ne è pieno. Sono milioni infatti i pensionati che godono di assegni più alti rispetto a quanto effettivamente versato nel corso della propria carriera, anche escludendo gli strumenti necessari di protezione dalla povertà (assegno sociale e pensioni minime). Secondo il rapporto di Itinerari Previdenziali, tra i dipendenti pubblici, artigiani e lavoratori agricoli “si evidenziano disavanzi consistenti dei saldi di gestione alla cui copertura devono provvedere i trasferimenti dal bilancio pubblico”. Iniquità – e rendite – molto gravi le aveva denunciate anche l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri, dimostrando che gli assegni pensionistici di alcune categorie di lavoratori, (tra cui militari, ferrovieri, commercianti, piloti d’aereo) se ricalcolate col metodo contributivo avrebbero subito decurtazioni anche vicine al 30-40 per cento. Buona parte delle pensioni insomma sono pagate ogni mese dalle tasse di tutti, anche dei meno abbienti. Il governo Meloni – incredibile ma vero – ha deciso di fermare sul nascere un’ulteriore rendita, questa volta a favore di medici ospedalieri, insegnanti, ufficiali giudiziari e dipendenti degli enti locali. I dipendenti pubblici che hanno lavorato anche solo un giorno prima dell’1 gennaio 1993 si sarebbero infatti garantiti nell’assegno pensionistico circa il 25 per cento dell’ultima busta paga. Otto ore di lavoro per un quarto dello stipendio trasformato in pensione, non male come rendita a vita. Per un dipendente privato nella stessa condizione il beneficio non supererebbe il 2 per cento della retribuzione. Il sindacato dei medici ospedalieri ha annunciato uno sciopero e pare che la maggioranza sia intenzionata a fare marcia indietro, almeno parzialmente. Il provvedimento andava probabilmente comunicato meglio e prima, piuttosto che annunciarlo a pochi mesi dall’entrata in vigore con il rischio di causare una fuga anticipata di medici dagli ospedali per evitare il taglio dell’assegno che partirebbe dal primo gennaio. Ma certo non si può negare che quelle categorie di dipendenti pubblici avrebbero goduto di un enorme regalo, pagato soprattutto dai contributi di chi oggi inizia a lavorare come medico, o come insegnante.

 

Non era da questo governo che ci si poteva attendere un contrasto alle rendite, che invece è almeno parzialmente arrivato con la legge di Bilancio. Né ci si poteva attendere che a rendere realtà una richiesta storica dei sindacati – la decontribuzione per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi – fosse una maggioranza a trazione Fratelli d’Italia. Alla luce di questi dati appare quindi ancora più incomprensibile lo sciopero indetto da Cgil e Uil per venerdì scorso, come anche le critiche da parte delle opposizioni di centrosinistra al governo per non aver rispettato le promesse elettorali. Ben venga, invece.

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