L'editoriale del direttore

Economia e giustizia. Le assenze di due ministri mostrano i punti deboli di Meloni

Claudio Cerasa

Come Carlo Nordio e Giancarlo Giorgetti declinano la politica del "vorrei ma non posso": un rating da seguire

Vorrei ma non posso: l’altro rating da osservare per il governo forse è tutto qui. Ci sono due scene recenti che arrivano dai palazzi del potere, dalle stanze del governo, che ci consegnano l’immagine perfetta di quella che è oggi l’essenza del modello Meloni. Vorrei ma non posso. Due scene diverse, distanti, ma simmetriche, entrambe caratterizzate da un messaggio politico che si palesa attraverso un’assenza. La prima assenza da inquadrare è quella che si è manifestata l’8 agosto in Consiglio dei ministri. La seconda assenza da inquadrare è quella che si è manifestata il 16 novembre sempre in Consiglio dei ministri. La prima assenza riguarda Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia. La seconda assenza riguarda Carlo Nordio, ministro della Giustizia. Per entrambi la storia è la stessa ed è la storia del governo Meloni. Vorrei ma non posso.

Nel primo caso, Giorgetti sceglie, con malizia, di non partecipare a un Consiglio dei ministri famoso: quello in cui il governo, ricorderete, in piena estate decide di dimostrare di essere coerente con se stesso, con la sua narrazione anti establishment, approvando così, in fretta e furia, un provvedimento scombinato che fece grande scalpore: tassiamo subito gli extraprofitti delle banche brutte e cattive. La norma passa e crea scompiglio tra gli investitori. Poi il governo fa marcia indietro, si rimangia tutto, e lo stesso Giorgetti, alla fine, nelle previsioni economiche sul 2024, sceglie di prevedere un gettito legato all’operazione pari a euro zero. Vorrei ma non posso.

Nel secondo caso, il ministro in questione è Carlo Nordio e la scena è quella che avete visto giovedì in conferenza stampa. Il Consiglio dei ministri vara l’ennesimo pacchetto liberticida con cui il governo sceglie di aumentare le pene, creando nuovi reati (blocco stradale), aumentando pene per altri reati (occupazioni abusive) nello stesso giorno in cui tra l’altro il Parlamento decide di approvare una legge per vietare ciò che già è vietato dalla legge (la carne sintetica vietata è già vietata come tutti i prodotti non ancora autorizzati dall’Ue). Nordio, polemicamente, come Giorgetti ad agosto, sceglie di non partecipare alla conferenza stampa e delle nuove misure (alcune delle quali riguardano le carceri, competenza del ministro della Giustizia) parla solo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Si capisce l’imbarazzo di Nordio, che solo un anno e mezzo fa diceva: “Chi tende a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene alla fine non fa altro che ingrassare il populismo penale”.

Le due assenze  sono lì a indicare due modi diversi di declinare la politica del vorrei ma non posso. Da una parte vi è l’incapacità del governo, per fortuna, a essere coerente con le proprie promesse quando si parla di economia. Dall’altra vi è l’incapacità del governo, purtroppo, a essere coerente con le proprie promesse quando si parla di giustizia. Nel primo caso, la realtà impone al governo di rimuovere le bandierine dal suo percorso (extraprofitti, odio contro il Pos, politiche spendaccione sulle pensioni: ma quante energie perse a rimuovere le stupidaggini?). Nel secondo caso, la realtà suggerisce di puntare sulle bandierine, quando si parla della giustizia, non essendo capace l’esecutivo di puntare sulla ciccia, sulle riforme, quando si parla di garantismo (separazione delle carriere accantonata, riforme sull’abuso d’ufficio incagliate).

Storie diverse ma identico film. Un governo che prende a cazzotti la libertà di solito è un governo che ha qualcosa da nascondere. Un governo che sceglie di essere dalla parte della libertà, dalla parte del mercato, dalla parte dello stato di diritto, è un governo che lavora per rendere l’Italia un posto più attrattivo. Vorrei ma non posso: l’altro rating da osservare per il governo forse è tutto qui.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.