Il ministro per le imprese e Made in Italy Adolfo Urso (Ansa)

priorità sbagliate

L'incomprensibile taglio ai fondi per le start up innovative

Oscar Giannino

Il governo revoca 300 milioni dalle dotazioni finanziarie girate a Cdp Venture Capital, il fondo nazianale per l'innovazone. Risorse che saranno trasferite al finto fondo sovrano promosso con il ddl a tutela del made in Italy, a discapito di un settore che nel 2022 ha fatturato 9,5 miliardi

Abbiamo già condotto su queste pagine un’analisi critica delle delusioni e incongruenze contenute nel disegno di legge-bandiera del governo sulla tutela del made in Italy, troppo incentrato su versanti disparati rispetto alle filiere produttive protagoniste dell’eccellenza nell’export italiano. E troppo dispersivo nella creazione a raffica di nuovi comitati e mini-fondi ad hoc, rispetto alla panoplia di quelli già creati. Vogliamo aggiungere la nostra voce anche su un’altra scelta incomprensibile contenuta nel ddl, cioè la revoca di 300 milioni dalle dotazioni finanziarie girate a Cdp Venture Capital per investimenti diretti in start up o in liquidità affidata a fondi specializzati nel sostegno alle start up innovative e tecnologiche, per trasferirli invece al finto-fondo-sovrano pro made in Italy promosso nel disegno di legge governativo e irragionevolmente disperso nelle sue priorità.

 

A protestare duramente contro tale scelta hanno ragione da vendere Innovup e Italian Tech Alliance, le due associazioni nelle quali si riconosce il più dell’ecosistema italiano dell’imprenditorialità innovativa e degli investitori in innovazione e start up di tecnologia avanzata. Dacché è nato nel 2019, il Fondo per l’Innovazione e sostegno alle start up sarebbe la prima volta che si procede a un taglio di risorse, che sotto la competente regia di Cdp Venture Capital hanno raggiunto in 3 anni 3,1 miliardi di asset in gestione (risorse per oltre la metà attratte dall’estero), un miliardo di capitale deliberato, 13 fondi attivati. Le diverse migliaia di start up innovative 0-5 anni non sono solo impresa ipotetica esposta ad alti tassi di fallimento, invece di crescita, fusioni e acquisizioni: si stima che nel 2022 abbiano fatturato 9,5 miliardi, dal 2021 secondo dati Cerved hanno generato un saldo netto di 350 mila posti di lavoro tra aperture e cessazioni. Le risorse andrebbero di molto potenziate, se si pensa che secondo le stime comparate del 2022 l’Italia registra investimenti di Venture Capital solo pari allo 0,04 per cento del suo pil, rispetto allo 0,09 di Germania e Spagna, 0,12 per cento del Regno Unito, 0,14 della Francia e 0,18 della Svezia. Proprio ieri il governo ha risposto a un’interrogazione presentata su questo punto dall’onorevole Giulia Pastorella di Azione: ma la risposta non regge alla verifica. Nel 2021 infatti, sotto Draghi, il Mef aveva consentito una dotazione al Mimit di ulteriori 2 miliardi di euro al Fondo Innovazione, e ieri il ministero ha affermato che però di quei 2 miliardi solo una minima quota era stata impiegata da Cdp Venture Capital, e anche levandone 300 milioni ne avanzano altri 1.550. Sentendo però chi ha lavorato nel Fondo, la risposta è che quelle risorse erano una dotazione potenziale, ma mai trasferita davvero a Cdp, tanto che non è stato possibile avviare fondi aggiuntivi.

 

A tutto ciò si somma poi la singolare scelta del governo, che da febbraio ha lasciato aperta la questione della guida del Fondo Innovazione: l’amministratore delegato Enrico Resmini, ex manager Vodafone e di EY, l’ha gestito in maniera molto competente in questi anni, attirando rilevanti capitali esteri e con un grande consenso delle associazioni di settore. Il Mef e Giorgetti erano per la sua conferma, ma nei mesi Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno iniziato a sferragliare per un nuovo vertice a loro vicino. Il comitato nomine dovrebbe riunirsi proprio oggi, e vedremo se a spuntarla sarà la competenza o la fame dei partiti. Ma c’è infine anche un’altra considerazione, che dobbiamo a un valido e stimato protagonista del settore nel nostro paese. Per carità, è una correlazione e non un rapporto di causa, ma è comunque molto interessante. Se si incrociamo i dati comparati degli investimenti in venture capital con tassi nazionali di natalità – non esattamente l’ultimo criterio da considerare, visto il nostro pluridecennale percorso verso abissi che ipotecano sempre più il nostro pil potenziale – si scopre una conferma aggiuntiva di come l’innovazione tecnologica d’impresa, cioè la capacità sinergica di potenziare investimenti specializzati, ricerca avanzata e trasferimento tecnologico alle filiere, sia un drive prioritario di futuro. Il caso o la necessità vogliono infatti che, se guardiamo ai dati comparati dell’US Census Bureau,  con il suo 0,04 per cento di pil di investimenti in Venture Capital il tasso di natalità dei residenti italiani (immigrati esclusi) sia dell’1,27, quello della Germania con il 0,09 per cento sia  di 1,54, mentre quello di Regno Unito e Francia, entrami sopra lo 0,1 per cento di investimenti sul pil)  sia di 1,65 e 1,87. Senza futuro tecnologico, meno figli.      

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