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Cortocircuito green

L'ultima tassa green di Bruxelles può affondare il porto di Gioia Tauro

Francesco Gottardi

Le navi portacontainer dovranno pagare pesanti tasse anti-emissioni per ogni sosta negli snodi comunitari come quello calabrese. Il rischio è quello di favorire il Mediterraneo nordafricano (senza ridurre le emissioni). L'analisi dell'Autorità portuale 

Green a tutti i costi. Altissimi, per altro, e senza la certezza di incidere abbastanza sull'inquinamento. È il cortocircuito che si sta profilando nel settore del trasporto marittimo: per abbattere le emissioni di gas serra, la Commissione europea ha annunciato un nuovo sistema di tassazione sulle grandi navi in transito nei porti comunitari. Il rischio è che queste saranno incentivate a scegliere gli scali nordafricani, a discapito del Mediterraneo meridionale.

Tradotto, secondo l'allarme dei sindacati: in Italia il porto di Gioia Tauro rischia di perdere 5.600 posti di lavoro e circa mezzo miliardo di euro, tra commesse pubbliche e investimenti privati degli ultimi vent’anni. “Chiediamo al più presto l’intervento del governo”, dice Uiltrasporti. “Le nostre istanze devono arrivare all’Ue forti e chiare o saremo in grave difficoltà”. Il caso calabrese è il più eclatante. Ma dal Pireo in Grecia a Sines in Portogallo, nessuno dorme sonni tranquilli.

La norma della Commissione si inserisce all’interno di Fit for 55, l’ambizioso pacchetto di riforme finalizzato a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Ratio sacrosanta, transizione a marce forzate e uno slancio di fede che talvolta perde di vista l’effetto reale delle direttive.

A fare ordine, in questi giorni, ci ha pensato l’Autorità di Sistema portuale dei mari Tirreno meridionale e Ionio con un’analisi dedicata. Si sottolinea l’importanza strategica di Gioia Tauro, snodo nevralgico del commercio di container (28 per cento del totale nazionale, fonte Assoporti) e in particolare nel ramo transhipment – il trasbordo di merci da una nave all’altra (77 per cento). Una leadership garantita da caratteristiche morfologiche uniche e difficilmente replicabili fra i porti italiani. L'analisi spiega il meccanismo del provvedimento Ue: la nuova tassa, calibrata per quantità di emissioni e lunghezza del percorso, ricade sul gestore di ogni nave superiore alle 5.000 tonnellate lorde; nella fattispecie, si applica al 100 per cento della tratta tra porti interni all’Agenzia europea dell’ambiente – Eea, include pure Norvegia e Turchia –, al 50 per cento se uno dei due porti di provenienza o destinazione non vi fa parte e allo zero se entrambi sono extra Eea.

Di fatto, negli ultimi due casi si viene a creare una situazione paradossale. Esempio: se una nave dall’India è diretta negli Stati Uniti, facendo scalo a Gioia Tauro e a Sines sarà tassata al 100 per cento nella tratta tra i due porti comunitari e al 50 nel resto del tragitto. Se invece la nave, con un’analoga rotta, decidesse di sostare a Port Said e a Tangeri – Egitto e Marocco,  i principali competitor – potrà evitare tutti i costi di emissione pur contaminando le medesime acque del Mediterraneo.

Non è uno scenario soltanto teorico. La stessa Commissione europea ha riconosciuto che “questo rischio è concreto e non può essere escluso”, a vantaggio di località geopoliticamente più instabili e prive di normative sui carburanti inquinanti. Come scongiurare il boomerang? Con un piccolo emendamento al testo sulla tassa in questione: tra le categorie esenti, al momento figurano solo “le soste dei portacontainer in un porto limitrofo” all’area Ue-Eea. Secondo la nostra Autorità portuale, basterebbe riformulare con “europeo o limitrofo”. In questo modo si scongiurerebbe la penalizzazione contro Gioia Tauro e simili, ripristinando le dinamiche del libero mercato.

Così facendo la tassa sulle emissioni verrebbe depotenziata solo in apparenza: allo stato attuale, più che ferrea manovra ambientalista, al di fuori delle rotte comunitarie è facile a eludersi e dannosa a realizzarsi. 

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