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L'analisi

Dopo il Superbonus, la Ragioneria dello stato potrebbe aver fatto di nuovo male i conti

Nicola Rossi

La necessità che la Ragioneria adotti adeguati “modelli di valutazione ex ante dell’impatto” va presa alla lettera: ora che le garanzie pubbliche hanno superato i 300 miliardi di euro,  possono creare un nuovo disastro dopo quello del bonus edilizio 

La fondamentale riorganizzazione della Ragioneria generale dello stato realizzata da Alberto De’ Stefani giusto un secolo fa pose le basi per un controllo della spesa terzo ed efficace. Di quella riforma, che impediva che il controllato (i ministeri) controllasse gerarchicamente il controllante (la Ragioneria dello stato) e stabiliva che quest’ultimo riferisse al ministro delle Finanze, lo stesso Mussolini ebbe modo di lamentarsi e, con lui, molti altri Presidenti anche in epoca molto recente. Quella riforma ha fatto della RGS non solo uno strumento fondamentale per il controllo della spesa pubblica ma soprattutto uno snodo essenziale del sistema di checks and balances presenti nell’ordinamento italiano. 

In questa prospettiva, il fatto che il Ragioniere generale dello stato abbia sottolineato la fondamentale importanza e necessità di adeguati “modelli di valutazione ex ante dell’impatto” dei provvedimenti normativi sulla finanza pubblica – alla luce della natura non particolarmente accurata delle valutazioni relative al cosiddetto superbonus – non può e non deve essere colto per mettere in discussione, direttamente o indirettamente, il ruolo e la collocazione della Ragioneria generale dello stato ma deve, piuttosto, essere preso alla lettera per spingere la RGS a rivedere in maniera non superficiale le proprie metodologie di valutazione. È lecito presumere che queste abbiano fallito nel momento in cui hanno ipotizzato che uno strumento di per sé non nuovo (il credito di imposta) ma reso radicalmente nuovo nel momento in cui ne è stata consentita la cedibilità potesse essere analizzato senza tenere conto della profonda distorsione dei comportamenti che avrebbe inevitabilmente determinato e che avrebbe altrettanto inevitabilmente portato ad una lievitazione delle conseguenze finanziarie dello strumento stesso. Uno strumento mal pensato prima ancora che mal disegnato che – si noti – non avrebbe trovato un limite adeguato nemmeno nelle strozzature dal lato dell’offerta, essendo agevolmente in grado di assorbire se non addirittura di sollecitare l’incremento dei costi.

Alla luce dei limiti metodologici emersi nel caso del superbonus, la domanda che a questo punto è urgente porsi è dunque la seguente: quali e quante bombe di profondità potrebbero essere ancora presenti sulla rotta della nostra finanza pubblica? Un esempio per tutti: lo stock di garanzie pubbliche è passato dal 4,8% del prodotto nel 2019, al 13% del 2020, al 16,1% nel 2021 per poi ripiegare marginalmente al 15,8% nel 2022 (superando così i 300 miliardi di euro). A fronte di questa montagna di garanzie – che, se mai aveva ragione di essere nel 2020, oggi certamente non ce l’ha più – diversi provvedimenti normativi hanno provveduto ad accantonare le coperture a fronte delle escussioni attese fra il 2021 ed il 2027 per circa 60 miliardi di euro (una cifra che sinistramente ricorda molto le valutazioni iniziali dell’impatto dei bonus edilizi). È certamente vero che, con riferimento, per esempio alle garanzie derivanti dall’emergenza pandemica, l’esposizione dello stato si sta gradualmente riducendo a causa dei rimborsi a volte anche anticipati dei debiti garantiti. Ma è altrettanto vero che la chiusura della parte largamente maggioritaria delle posizioni debitorie garantite è previsto fra il 2026 ed il 2028. Su quali basi sono stati ipotizzati gli eventuali conseguenti maggiori oneri per le finanze pubbliche? Si è tenuto conto adeguatamente della distorsione dei comportamenti tanto dei debitori (famiglie e imprese) quanto dei creditori (le banche)? Si è tenuto conto dell’impatto delle garanzie sulle modalità di valutazione del merito di credito (in particolare per le banche di minori dimensioni) e, conseguentemente, sui tassi potenziali di escussione delle garanzie stesse? Si è tenuto conto del fatto che le garanzie potrebbero avere da sole spinto ad un incremento indebito (e lucroso) degli impieghi in un momento in cui la forbice fra tassi attivi e passivi si andava allargando?

Il tema, come si può notare, non è sostanzialmente diverso (anche se auspicabilmente lo è dal punto di vista delle dimensioni) rispetto a quello emerso a causa del Superbonus e travalica la legislatura in corso. E, di conseguenza, la affermazione già citata del Ragioniere generale dello stato va presa particolarmente sul serio. Come si vede in questi giorni, una Ragioneria generale dello stato in grado di svolgere in maniera indipendente e al meglio il suo lavoro è una garanzia per tutti. Per tutti i cittadini, in primo luogo. Ma anche per le maggioranze e per le opposizioni pro tempore. In democrazia i ruoli cambiano ed è esattamente quando cambiano che si scopre l’utilità dell’esistenza di pesi e contrappesi.