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rischi e prospettive

Gli incerti benefici della tassa sulle banche e le regole da scrivere

Alberto Pozzolo

Fare cassa sul sistema bancario potrebbe essere remunerativo da un punto di vista elettorale, ma non risolverà i problemi strutturali del sistema

In un sistema di mercato, quando le imprese realizzano extra-profitti, qualcosa non funziona. E quando il sistema di mercato non funziona, bisogna capire perché e trovare dei correttivi. Il governo ha valutato che nel 2022 e nel primo semestre del 2023 molte banche hanno realizzato elevati extra-profitti, “ingiusti” come li ha definiti il presidente del Consiglio, ed è quindi intervenuto con dei correttivi.

La ragione degli extra-profitti è la crescita del margine di interesse (che, semplificando un po’, è la differenza tra quanto le banche incassano dai prestiti e quanto spendono per i depositi). In seguito alla stretta monetaria decisa dall’Eurosistema per fronteggiare l’inflazione, i tassi sui prestiti sono aumentati abbastanza rapidamente, mentre quelli sui depositi sono rimasti sostanzialmente fermi. Se una banca si indebita a un tasso costante e concede prestiti a un tasso più elevato, chiaramente realizza più profitti. Come in effetti è avvenuto. Tra il 2021 e il 2022 il margine di interesse delle banche è cresciuto del 18,5 per cento, raggiungendo il valore più elevato dal 2008. Il Consiglio dei ministri dello scorso lunedì ha così deciso di introdurre un’imposta straordinaria del 40 per cento sulla parte del margine di interesse registrato nel 2022 che eccede del 5 per cento l’importo registrato nel 2021 (o, se l’importo fosse superiore, sulla parte del margine di interesse del 2023 che eccederà del 10 per cento l’importo registrato nel 2022). Tralasciando cosa potrà accadere nel 2023 – estrapolare i dati del primo semestre è arbitrario, perché bilanci si chiudono al 31 dicembre e ragionevolmente risentiranno dell’impatto del provvedimento – se nel 2022 la crescita del margine di interesse fosse stata uniforme tra tutte le banche, le maggiori entrate fiscali sarebbero nell’ordine di 2 miliardi di euro (l’importo è pari allo 0,05 per cento del totale delle attività del sistema bancario e quindi, in media, il limite dello 0,1 per cento comunicato dal Mef martedì non ha effetto sul prelievo straordinario calcolato sui dati del 2022). In sintesi, il Governo ha valutato che c’era una disfunzione nel mercato bancario ed è intervenuto. Tutto bene quindi? Fino a un certo punto. 

L’idea che le banche abbiano realizzato extra-profitti non è condivisa da tutti, come hanno argomentato ad esempio Carlo Stagnaro martedì su questo giornale e Simon Samuels mercoledì sul Financial Times. Ma anche partendo dall’ipotesi che questo sia avvenuto, qualche problema con la logica del provvedimento rimane.

E’ assai probabile che nei prossimi mesi vedremo una progressiva crescita dei rendimenti sui depositi – è già iniziata, fortunatamente – e quindi una riduzione del margine di interesse. Ma questo sarebbe avvenuto indipendentemente dall’imposta straordinaria. Da sempre, dopo una stretta monetaria i tassi sui depositi crescono più lentamente di quelli sui prestiti, in tutti i paesi del mondo e anche prima dell’introduzione dell’euro (tra l’altro, con il calo dell’inflazione assisteremo ragionevolmente a una riduzione dei tassi sui prestiti, ma simmetricamente e prevedibilmente la riduzione sarà più lenta di quella dei tassi sui depositi). Ma sappiamo anche che la capacità delle banche di sfruttare le oscillazioni dei tassi di politica monetaria per ampliare il margine di interesse è maggiore dove il sistema bancario è meno concorrenziale. Gli extra-profitti, come sempre, sono il riflesso dell’eccessivo potere di mercato delle banche, non della politica monetaria restrittiva, che funge unicamente da elemento scatenante. Per correggere le disfunzioni, il governo sarebbe dovuto quindi intervenire ex-ante favorendo una maggiore concorrenza nel settore bancario (con effetti permanenti) invece che ex post con imposte straordinarie (con effetti temporanei). Semplificare il trasferimento dei conti correnti – ad esempio con un codice identificativo unico come avviene per i numeri di telefonia cellulare – avrebbe un forte impatto sulla concorrenza nel mercato dei depositi, simile a quello del diritto di surroga decisa dall’allora ministro Bersani per i mutui.

L’impatto complessivo su famiglie e imprese dell’imposta straordinaria dipenderà anche da come verranno utilizzate le maggiori entrate fiscali. Se però gli extra-profitti sono stati realizzati a scapito dei clienti delle banche, è a loro che dovrebbe essere destinato il gettito delle maggiori entrate. Ma quali clienti sono stati danneggiati? I depositanti, che hanno subito una forte erosione del valore reale dei depositi, oppure chi ha sottoscritto un mutuo a tasso variabile, che negli scorsi anni ha beneficiato di una rata più bassa di chi invece ha sottoscritto un mutuo a tasso fisso? Anche se è una considerazione che non viene ben accolta dall’opinione pubblica (e quindi da gran pare dei politici), occorre ricordare che chi negli anni scorsi ha sottoscritto un mutuo a tasso fisso e quindi ora ha una rata invariata lo ha fatto proprio perché non voleva assumersi il rischio di un aumento dei tassi di interesse. Aumento che, prima o poi, doveva avvenire, dal momento che una riduzione di tassi di politica monetaria già negativi era tecnicamente impossibile (potremmo discutere sulla consapevolezza di chi ha scelto il tasso variabile, ma dovremmo aprire un ampio capitolo sulle competenze finanziarie degli italiani oltre che sui consigli forniti dalle banche).

Il tema dell’effetto redistributivo del provvedimento è comunque aperto, anche perché su come verranno utilizzate le maggiori entrate il governo è stato assai generico, affermando che saranno destinate al finanziamento del fondo per i mutui sulla prima casa e per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese.

A ben guardare, l’intervento del governo non sembra avere come obiettivo la correzione di un’inefficienza del mercato. Sembra piuttosto rivolto a fare cassa, una-tantum, colpendo un settore i cui interessi non stanno certamente a cuore della maggior parte degli elettori. Purtroppo, questo non contribuirà a migliorare il funzionamento del nostro sistema bancario e finanziario.

 

Alberto Pozzolo, università Roma Tre

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