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L'editoriale del direttore

Si scrive taxi, si legge Italia. Il dramma di una politica che odia la concorrenza

Claudio Cerasa

I numeri di un disservizio italiano. Nuove licenze, servizi alternativi: le cose che i comuni e il governo potrebbero fare, ma su cui la politica frena. Perché bisogna sfidare le corporazioni e lo status quo. Per fortuna arriva un aiuto dall’Europa

La fortuna di Elon Musk è quella di essere arrivato a Palazzo Chigi con una Tesla, con un’auto della casa, perché se Musk avesse avuto la cattiva idea di sbarcare a Roma in un altro modo per arrivare a piazza Colonna avrebbe avuto meno difficoltà a trovare uno Space Shuttle piuttosto che un taxi. Ci avrete fatto caso anche voi, sia passeggiando per le grandi città italiane, Roma e Milano in particolare, sia provando a muovervi in queste città rinunciando a utilizzare gli unici mezzi di locomozione possibili divenuti competitivi per evitare di essere stritolati nelle metropolitane magnificamente assediate di turisti. Il punto è semplice: i taxi non si trovano più. E la ragione per cui non si trovano più deriva insieme da un’ottima notizia e da una pessima notizia. La buona notizia è presto detta. In Italia, il turismo sta aumentando a livelli record. E’ aumentato in modo esponenziale già nei primi mesi dell’anno (tra gennaio e febbraio, secondo l’Istat, le presenze complessive rispetto allo stesso bimestre del 2022 sono aumentate del 45 per cento, con una crescita rilevante sia delle presenze straniere, più 70 per cento, sia di quelle domestiche, più 28,8 per cento). 

E aumenterà in modo esponenziale anche durante l’estate (secondo le stime del settore, le prenotazioni sono aumentate mediamente del 53 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, con picchi fino al 120 per cento nelle città d’arte e nelle destinazioni balneari). L’Italia attrae di più, e questa è la buona notizia, ma la cattiva notizia, come avrete capito, è che a fronte di un aumento della domanda di servizi di trasporto pubblico, come sono i taxi, l’offerta non cambia e non cambierà. I tassisti più ironici motivano spesso l’assenza cronica di taxi nelle città offrendo una risposta alla Johnny Stecchino: è il ciaffico. Dove per ciaffico si intende la negazione del problema (l’assenza di taxi) con l’enunciazione di un altro problema (il traffico dove i taxi rimangono bloccati). Il problema dei taxi nelle grandi città italiane non è però un tema che riguarda solo le Ztl. E’ un tema che riguarda un approccio autolesionista dell’Italia che sul fronte dei taxi risulta quanto mai evidente. E il problema è presto detto: mostrare ostilità verso la concorrenza significa avere servizi più scadenti a costi più alti. Viceversa: mostrare apertura verso la concorrenza significa promuovere una competizione che aiuta ad avere servizi migliori a prezzi più convenienti.

Per i taxi i numeri parlano da soli. Volete un ripasso? Eccolo. Questo è il numero di taxi per abitante in alcuni paesi europei. Italia: 0,51 taxi ogni 1.000 abitanti. Germania: 0,66 taxi ogni 1.000 abitanti. Francia: 0,87 taxi ogni 1.000 abitanti. Spagna: 0,97 taxi ogni 1.000 abitanti. Avete capito bene: il numero di taxi per abitante in Italia è circa la metà del numero di taxi per abitante in Spagna. Andiamo più nel dettaglio. Qual è il numero di taxi per abitante in alcune tra le più importanti città europee? A Roma ci sono 2,79 taxi ogni 1.000 abitanti. A Milano ci sono 3,60 taxi ogni 1.000 abitanti. A Madrid ci sono 4,85 taxi ogni 1.000 abitanti. A Barcellona ci sono 6,49 taxi ogni 1.000 abitanti. A Parigi 10 taxi ogni 1.000 abitanti.

Di fronte a questi dati, la questione eterna che un osservatore attento si pone è presto detta: per quale razza di motivo le città che hanno meno taxi non fanno qualcosa per dotarsi di più taxi? La risposta è semplice ed è drammaticamente bipartisan. Sfidare i tassisti significa sfidare le corporazioni. Sfidare le corporazioni significa sfidare lo status quo. Sfidare lo status quo significa offrire un buon servizio ai cittadini. Ma sfidare lo status quo significa correre il rischio di bloccare le città. Ne vale la pena? Fino a oggi, la risposta dei responsabili politici è stata sistematicamente no: non ne vale la pena. E il risultato è quello che abbiamo sotto i nostri occhi: pochi taxi, perché le licenze non si possono aumentare, e pochi concorrenti, perché dare la possibilità ai concorrenti dei taxi di fare concorrenza senza avere bisogno di una costosa licenza costituisce, per i tassisti, una provocazione inaccettabile. Risultato: un disastro. Si può fare qualcosa? Sì, ovviamente.

I sindaci avrebbero il potere, a legislazione vigente, di aumentare le licenze. E lo potrebbero fare in virtù di una legge del 2012, in base alla quale l’Autorità di regolazione nel settore dei Trasporti dovrebbe avere il compito di “monitorare e verificare la corrispondenza del servizio taxi, delle tariffe e della qualità delle prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti”. E la stessa norma ha previsto che i comuni e le regioni, nell’ambito delle proprie competenze, debbano provvedere, previo parere dell’Autorità, ad adeguare il servizio sulla base dei seguenti princìpi. Primo: l’incremento del numero delle licenze ove ritenuto necessario anche in base alle analisi effettuate dall’Autorità per confronto nell’ambito di realtà comunitarie comparabili. Secondo: consentire, d’intesa con i comuni, ai titolari di licenza una maggiore libertà di organizzazione del servizio, per fronteggiare particolari eventi o periodi di prevedibile aumento della domanda, e, in numero proporzionato alle esigenze, per sviluppare nuovi servizi integrativi come il taxi ad uso collettivo o altre forme. Terzo: consentire una maggiore libertà nella fissazione delle tariffe; la possibilità di una loro corretta e trasparente pubblicizzazione, prevedendo la possibilità per gli utenti di avvalersi di tariffe predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti.

I comuni, invece, si rifiutano di rilasciare nuove licenze. Il governo si rifiuta di offrire a servizi alternativi come Uber la possibilità di poter coprire la domanda a cui i tassisti non riescono a rispondere. E il risultato è quello che vediamo ogni giorno. Servizi scadenti, corse rarefatte, file infinite e autoscontro sui monopattini. Ci sono speranze che la politica comprenda quanto è importante la concorrenza per i suoi cittadini? Purtroppo no. Ci sono speranze che qualcuno costringa la politica a prendere scelte impopolari solo sul breve termine (neanche Margaret Thatcher riuscì a portare la gioia della libertà fra i tassisti londinesi)? Forse sì. E come spesso capita, a mettere una pezza sui dossier che la politica non ha il coraggio di affrontare, quando si tratta di difendere la libertà dei consumatori, e dunque dei cittadini, ci pensa l’Europa.

La notizia che state per leggere non è stata molto valorizzata dai grandi giornali ma è una notizia importante. E’ una notizia di dieci giorni fa. E’ una notizia che arriva dalla Corte di giustizia europea. E la notizia è questa: proteggere il reddito dei tassisti sul mercato non è una buona ragione per restringere l’accesso di potenziali concorrenti. Tutto nasce dalla risposta della Corte a un quesito posto da un giudice spagnolo, relativo a uno dei tanti casi pendenti sulla regolamentazione del trasporto pubblico non di linea. La Prestige & Limousine, una società di noleggio con conducente, aveva avviato una causa contro le norme in vigore nella città di Barcellona (città dove oltre alla licenza nazionale possono lavorare soltanto i possessori di una seconda licenza locale). La Corte ha stabilito che le pretese di Barcellona sono eccessive e sproporzionate. Motivo: le specifiche modalità di rilascio delle autorizzazioni, come ha sintetizzato Carlo Stagnaro sul Foglio, non possono duplicare i controlli già esistenti né devono avere carattere di discriminatorietà. I padroni delle città non sono i tassisti. Lo suggerisce l’Europa. Lo chiede il buon senso. Lo chiedono i cittadini. Più concorrenza non significa solo più taxi. Significa più competizione. Significa più innovazione. Significa più libertà. In attesa di avere tutti uno Space Shuttle, ci si accontenterebbe più modestamente di un taxi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.