Fabrizio Palenzona (Ansa)

Falstaff in borsa

Con Fabrizio Palenzona il capitalismo italiano prova a uscire dal suo letargo

Stefano Cingolani

Quali piani ha in mente il nuovo presidente della Cassa di risparmio di Torino? Le possibili nozze Unicredit-Bpm e le visioni strategiche che servono all'economia del paese

Il capitalismo italiano, il piccolo grande capitalismo, sta uscendo dal letargo. Ha trascorso un lungo periodo in apnea, ma siamo indulgenti: tra pandemia, guerra, inflazione, crisi energetica, crisi di governo, il quinto cambio di maggioranza politica in un decennio (e che cambio) non restava che mettere i materassi alle finestre. L’ultimo brivido s’è spento un anno fa con la battaglia di Trieste per le Assicurazioni Generali, adesso questo risveglio di primavera porta un friccico in piazza degli Affari. Intanto, grazie al rimbalzo del 2022 le società quotate in borsa hanno fatto il pieno di utili, battendo anche l’inflazione. Si prevedono dividendi agli azionisti per trenta miliardi di euro con un aumento dell’11,3 per cento, mentre la crescita dei prezzi finora acquisita è di soli cinque punti percentuali. Con questo “tesoretto” gli animal spirits si rimettono in moto. Se poi qualcuno vuol restare sdraiato al sole dei Tropici, c’è chi, come Fabrizio Palenzona, suona la sveglia. Il capitalismo non è un ectoplasma, è fatto di carne e sangue, cammina sulle gambe di uomini che s’arrotolano le maniche, richiede braccia e, ancor più, cervello. Di visione strategica ha bisogno l’Italia dove ha dominato a lungo il capitalismo clientelare e fa ancora scuola il capitalismo di relazione. In quanto a relazioni, Palenzona non ha nulla da invidiare a nessuno, al contrario sono molti a invidiare proprio lui. Forse si farebbe prima a dire chi non conosce, tanto è spessa la sua agenda: dalle banche (Unicredit e Bpm) alle infrastrutture (Benetton, Gavio), dagli immobili (Prelios del quale è presidente) alla finanza (Mediobanca, Caltagirone), dagli aeroporti (Roma Fiumicino) agli autotrasporti, senza mai dimenticare la politica locale e nazionale. Ora è presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino che vuol trasformare nel baricentro di nuovi equilibri economici; dopo Giuseppe Guzzetti e sulle sue orme, ma con una diversa personalità. Non parliamo solo della troneggiante presenza fisica (un metro e novanta per centoventi chili) o del carattere estroverso che talvolta mette in soggezione esangui banchieri in grisaglia. Chi lo incontra non può fare a meno di pensare a un moderno Falstaff, ma difficilmente lo sentiremo concludere che “tutto nel mondo è burla” come nell’opera di Giuseppe Verdi. “Tutti gabbati, tutti gabbati”? Non tutti.

 

Se Guzzetti, “padre padrone” della Cariplo, si muoveva un passo dopo l’altro al modo degli alpini, Palenzona irrompe sulla scena come un rugbista lanciato verso la meta. Anche lui, però, vuol diventare quello che nel gergo degli uomini d’affari americani si chiama rainmaker, il mago della pioggia. Così, all’ombra dei campanili del nord ovest e dei ministeri romani è tutto un fiorire di grandi ambizioni, grandi aspettative e ancor più grandi progetti: le nozze Unicredit-Bpm e quelle di Mediobanca con Banca Generali; il complesso immobiliare tra Milano e Sesto San Giovanni; il futuro di Mundys (ex Atlantia) dopo l’addio alla borsa; una super fondazione piemontese relais tra finanza e territorio, e ancora, il campione della difesa con Leonardo e Fincantieri, il colosso dell’energia con Eni ed Enel, magari più in là nel tempo, dopo che i nuovi vertici nominati dal governo avranno preso le misure e rivisto i piani strategici. Sembra fanta-finanza, ma poche attività umane hanno bisogno di tanta fantasia quanto la finanza. La Fondazione Crt è un ente no profit nato nel 1991, come tutte le fondazioni di origine bancaria, dalla legge Amato che ha trasformato l’intero sistema creditizio. Ma oltre alle attività benefiche gestisce l’1,9 per cento di Unicredit e l’1,8 per cento del Banco Bpm nato dalla Banca Popolare di Milano, l’1,7 per cento delle Assicurazioni Generali e un bel pacchetto del 9 per cento in Atlantia, la società della famiglia Benetton che possedeva anche Autostrade per l’Italia. Posizioni di minoranza, ma tutt’altro che minoritarie.

La sua spessa agenda: banche (Unicredit e Bpm), infrastrutture (Benetton, Gavio), immobili (Prelios del quale è presidente)

 

La Crt è stata il grande trampolino di lancio per Palenzona nel mondo delle banche e della finanza. Facciamo un passo indietro. Nato a Novi Ligure nel 1953, dopo la laurea in giurisprudenza a Pavia comincia la sua carriera parallela nella politica e negli affari. Milita nelle Acli e poi fin da giovane nella Dc corrente Donat Cattin, nel 1987 è sindaco di Tortona, carica che mantiene per ben 15 anni, passando poi alla Margherita. Diventa presidente della provincia di Alessandria e in questa veste si nomina nel consiglio della Fondazione Crt entrando nel grande gioco: nel 1997 si allea con la Fondazione Cariverona e fa confluire la Cassa di risparmio di Torino nel gruppo Unicredito formato dalle casse di risparmio di Verona, Trieste e Treviso che un anno dopo si fonde con il Credito Italiano. Nasce così la Unicredit guidata da Alessandro Profumo e Palenzona ne diventa vicepresidente con un ruolo chiave, non solo perché il pool delle fondazioni stabilizza l’azionariato, ma anche perché favorisce la fusione con Capitalia, grazie alle sue relazioni trasversali (dal Pd a Gianni Letta). I rapporti con Cesare Geronzi s’incrinano qualche anno dopo proprio sul ruolo delle fondazioni considerate dal banchiere romano cinghie di trasmissione dei potentati locali. Palenzona resta vicepresidente dell’Unicredit fino al 2017, quando arrivano Pier Carlo Padoan alla presidenza e Andrea Orcel alla guida della banca. Tuttavia Palenzona non molla, forte delle azioni che la fondazione possiede in Unicredit e in Bpm, adesso vuole far da paraninfo alle nozze tra le due banche. Se ne parla da tempo, ma prima la pandemia poi l’invasione dell’Ucraina hanno consigliato prudenza. La Unicredit opera in Russia dal 1989 e possiede una banca della quale non riesce ancora a liberarsi. Nel frattempo Orcel ha aumentato gli utili e il capitale, la borsa lo ha premiato (un anno fa un’azione valeva 9 euro, oggi oltre 19) e secondo gli analisi con una quota di Unicredit oggi se ne possono comprare cinque di Bpm. Lo squilibrio delle forze è evidente, tuttavia non si tratterebbe di una operazione ostile. Corre un buon feeling tra Orcel e Massimo Tononi presidente della Bpm, mentre per l’amministratore delegato Giuseppe Castagna si prepara un ruolo da direttore generale del nuovo gruppo, secondo Milano Finanza. Intanto Palenzona, intervistato dalla Repubblica ha dato la sua benedizione: resta “la valenza strategica dell’operazione”, dice invitando “i due manager bravissimi a decidere le strategie”. E non c’è solo la banca. “In Crt apprezziamo il percorso strategico che Alessandro Benetton sta portando avanti – aggiunge Palenzona – lavoreremo con lui e Blackstone per supportare lo sviluppo di Mundys”. Di che si tratta?

La Fondazione Crt è un ente no profit che gestisce quote di minoranza, ma tutt’altro che minoritarie, in Unicredit, Bpm, Generali e Atlantia

 

L’uscita da Autostrade per l’Italia ha portato otto miliardi di euro dalle casse dello stato e dei fondi Blackstone e Macquarie in quelle dei Benetton i quali hanno deciso di serrare le fila. Sotto la pressione di Florentino Pérez (il potente imprenditore e politico spagnolo padrone del Real Madrid)  insieme al quale controllano Abertis, la società autostradale iberica, hanno deciso il delisting per mettersi al sicuro, un cambio di nome e di prospettiva: diventare il campione internazionale della mobilità sostenibile, come ha spiegato il presidente, l’ambasciatore Giampiero Massolo. Palenzona si darà da fare anche grazie alla sua esperienza nei trasporti e nel gruppo Benetton. Politica e affari, proprio mentre comincia il suo percorso di amministratore locale, Palenzona avvia anche il core business con la società Unitra che lo porta a presiedere l’associazione dei camionisti, la Federazione autotrasportatori italiani. Allora incrocia Marcellino Gavio, costruttore e patron di undici concessioni autostradali. Ma il rapporto più forte si stringe con i Benetton, da Atlantia agli Aeroporti di Roma del quale diventa presidente. Palenzona colleziona cariche: presidente dell’Associazione società autostradali, dell’Assaeroporti, di Gemina che aveva posseduto fino al 2007 il Corriere della Sera per essere poi assorbita da Atlantia, è anche consigliere dell’Assobancaria e, dulcis in fundo, di Mediobanca fin dal 2001. Quattro anni dopo entra nel comitato esecutivo, il sancta sanctorum, resta fino al 2012 e si fa sentire, ça va sans dire. Se fosse ancora lì cosa direbbe dell’acquisizione di Banca Generali? La mossa rafforza la creatura di Cuccia mentre il Leone di Trieste si concentra più nel suo mestiere principale. Ma non piace alla minoranza battagliera guidata da Francesco Gaetano Caltagirone con il quale Palenzona è in ottimi rapporti. La Fondazione Crt, ancora guidata dal presidente uscente Giovanni Quaglia, si è alleata con chi ha sfidato Mediobanca anche a costo di spendere 126 milioni di euro, non senza una divisione tra i soci. Adesso non ci saranno più dubbi sugli schieramenti nel risiko della finanza. All’assemblea del prossimo autunno, in piazzetta Cuccia s’incroceranno le spade.

 

Abbiamo lasciato in secondo piano l’immobiliare, ma è una delle attività tra le più importanti di Palenzona, che resta presidente di Prelios, l’ex Pirelli Real Estate. “Non è incompatibile”, ha detto. A Milano non si parla d’altro, è una pedina chiave nella scacchiera dell’economia italiana. Si tratta del maggior risanamento urbano del paese e uno dei più grandi d’Europa esteso per un milione e 450 mila metri quadrati. L’area tra Sesto san Giovanni e Milano, cuore pulsante dell’industria durante il miracolo economico, è rimasta nuda, spogliata dei suoi fumosi capannoni (c’erano niente meno che le acciaierie della Falck). Ha di volta in volta cambiato piani e proprietari, da Luigi Zunino alla Pirelli. Sono entrati i fondi d’investimento, soprattutto americani, s’è fatto avanti un imprenditore italiano che vive e opera a Londra, Andrea Pignataro, uno dei maggiori operatori europei in servizi informativi (Ion e Cerved). L’attuale progetto vale cinque miliardi di euro e dopo cinque anni di tira e molla si è raggiunta un’intesa nei giorni scorsi per formare un consorzio e dividere la torta tra i tanti seduti a tavola. Prelios ha una posizione fondamentale insieme alla texana Hines, una delle maggiori società immobiliari al mondo, e a banche come Intesa Sanpaolo che ha investito quasi un miliardo di euro. “Un nuovo capitolo nella trasformazione della Grande Milano in una delle più avanzate metropoli europee”, gonfia il petto il Palenzona “muratore” in una delle sue brillanti interpretazioni.

Nato a Novi Ligure nel 1953, Palenzona è sindaco di Tortona per ben 15 anni, poi presidente della provincia di Alessandria

 

Tutto questo ribolle già da Torino a Treviso passando per Alessandria e Milano, ma nel gran calderone del potere fermenta anche il capitalismo di stato. Di mettere insieme Leonardo e Fincantieri si parla da tempo, era un progetto di Giuseppe Bono per vent’anni al vertice della società cantieristica prima di lasciare il posto esattamente un anno fa. È scomparso nel novembre scorso. “È mancato Peppino. Un amico fraterno, grande uomo, straordinario capitano d’industria”, così lo ha ricordato Guido Crosetto, ministro della Difesa. L’unione delle due società dove aveva lavorato per una vita è l’eredità di Bono che pensava di procedere per gradi prima con un coordinamento politico, poi una holding che controlli entrambe le realtà fino ad arrivare a un gruppo della difesa in grado di presentarsi sul mercato mondiale con una dimensione davvero consistente. Gli ostacoli alle nozze sono molti, ancora di più sono quelli sul cammino di una eventuale unione tra Eni ed Enel. Anche questo è un progetto che viene da lontano, sembrava attuale tra il 2005 e il 2006 poi è tramontato non solo per la caduta del governo Berlusconi, ma perché l’Eni guidata da Paolo Scaroni, che aveva capitanato l’azienda elettrica, prendeva la strada di Gazprom con il contratto trentennale per il gas siberiano, mentre l’Enel con Fulvio Conti si rivolgeva a occidente, prima alla Francia con Suez (un’acquisizione bloccata dal presidente Chirac), poi alla Spagna con Endesa. Un salto di taglia e di qualità che ha gonfiato il bilancio di debiti: 60 miliardi lasciati a Scaroni nominato presidente e a Flavio Cattaneo amministratore delegato; smaltirli è una priorità assoluta, dunque è troppo presto per mettere in cantiere progetti fantasmagorici. Eppure l’energia è sempre più questione d’interesse nazionale e quanto meno un coordinamento “politico” o meglio strategico, è all’ordine del giorno. Ma chi lo farà? Un ministro? E quale: Giancarlo Giorgetti l’azionista al Tesoro, Adolfo Urso al made in Italy, Gilberto Pichetto Fratin all’energia o Antonio Tajani dalla Farnesina, vista “la portata della partita”? O magari la Cassa depositi e prestiti, anche se non è il suo mestiere. Si sono ricreate le partecipazioni statali, senza più l’Iri né una sede politica unica e coerente. Adesso in molti sollecitano la nascita di un soggetto capace di raccogliere e concentrare i tanti pacchetti azionari che fanno capo allo stato. Ultimo a invocare “una nuova Iri”, o qualcosa di simile, è Luigi Zanda che ha trascorso una carriera a cavallo tra politica (prima al fianco di Francesco Cossiga poi nel Pd) e imprese pubbliche di vario genere.

Nel calderone del capitalismo di stato. Mettere insieme Fincantieri e Leonardo, Eni ed Enel: l’ente benefico non c’entra de jure, ma de facto

 

E l’ente benefico che c’entra? Palenzona non si fa prendere in castagna. Non c’entra de jure, c’entra de facto. Le fondazioni del resto sono azioniste della Cdp; d’accordo, sono in minoranza, ma senza di loro la Cassa regredisce da banca sui generis in agenzia dello stato. Tra l’altro scelgono il presidente mentre il governo nomina l’amministratore delegato. A lungo è toccata proprio a Guzzetti l’ultima parola, ora vuol prenderla Palenzona. La superfondazione piemontese che intende costruire, compete con la superfondazione lombarda che ha un ruolo importante in Intesa Sanpaolo banca a sua volta trasversale, lombarda, piemontese e anche molto veneta. Anche per questo la Crt vuol rafforzare Unicredit sul mercato italiano. Le fondazioni sono no profit, però potranno avere un ruolo “di sistema” molto importante per chi fa profitto. Lo scorso ottobre, al Forum di Conftrasporto, l’ex vice presidente di Unicredit ha preso il microfono e ha detto: “Con Giorgia Meloni è ritornata la politica ed è la politica che dà una strategia al paese, che guida e non segue”. Politique d’abord e le fondazioni non intendono star fuori.