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l'analisi

L'interscambio con la Russia e la reazione dell'economia italiana

Federico Bosco

L’anno scorso il valore delle esportazioni italiane in Russia si è ridotto del 23,7 per cento rispetto all’anno precedente. A dimostrazione che le tutte le drammatizzazioni sull’impatto per l’economia italiana della perdita del mercato russo erano fortemente esagerate

Nel Documento di economia e finanza (Def) appena approvato dal governo, c’è un approfondimento che fa il punto sull’evoluzione dell’interscambio commerciale tra Italia e Russia dopo il primo anno di guerra in Ucraina. La sintesi è che l’economia italiana ha dimostrato una notevole capacità di adattamento di fronte alle “mutate condizioni geopolitiche” grazie a tre fattori principali: lo scarso peso del mercato russo sull’insieme delle esportazioni italiane (1,5 per cento nel 2021; 0,9 per cento nel 2022), la dinamica molto positiva delle esportazioni totali (aumentate del 20 per cento), la riduzione delle importazioni di gas naturale e petrolio russo.

 

L’anno scorso il valore delle esportazioni italiane in Russia si è ridotto del 23,7 per cento rispetto all’anno precedente, un dato che sembra notevole ma che in realtà è pari solo a 2 miliardi di euro, a dimostrazione che le tutte le drammatizzazioni sull’impatto per l’economia italiana della perdita del mercato russo erano, come minimo, fortemente esagerate. Ad aumentare è stato il valore delle importazioni, una crescita del 45,7 per cento (circa 9 miliardi) alimentata dal colossale aumento dei prezzi energetici causato dalle manipolazioni sulle forniture da parte di Mosca.

 

Non a caso i costi del gas sono stati i più incisivi, con un aumento  dai 10 miliardi del 2021 ai 13 del 2022 nonostante la riduzione dei volumi importati. Ma nel caso italiano a gonfiare ulteriormente il dato sull’import è stata sicuramente la questione della raffineria siciliana di Priolo di proprietà della Lukoil, che l’anno scorso ha reso l’Italia uno dei principali paesi importatori di petrolio russo, con un aumento del 208,3 per cento – dai 2,2 miliardi del 2021 a 6,8 del 2022 – dovuto alla sostanziale impossibilità di una delle principali raffinerie nazionali di importare petrolio non russo. Tuttavia, il problema è stato superato con l’entrata in vigore dell’embargo europeo al greggio russo lo scorso dicembre. 

 

Nell’ultimo trimestre del 2022 la costante riduzione delle quotazioni di gas e petrolio unita alla riduzione dei consumi ha prodotto un netto calo delle importazioni italiane dalla Russia (-24,6 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2021), in linea con quello delle esportazioni (-27,7 per cento). La strategia europea e del governo Draghi, proseguita dal governo Meloni, di affrancarsi dalle importazioni degli idrocarburi russi sta quindi portando risultati. Le importazioni italiane di gas russo sono diminuite prima in termini di quantità, e poi anche di valore, con un andamento che si è accentuato nell’ultimo trimestre del 2022 grazie a una riduzione tendenziale del 90 per cento in termini di quantità (da oltre 5 milioni di tonnellate a meno di 500 mila), e dell’80 per cento in termini di valore (da 4,4 miliardi a 853 milioni). L’import di gas russo è stato sostituite con forniture dall’Algeria, dall’Azerbaigian, dagli Stati Uniti e dalla Norvegia. Anche le importazioni di petrolio russo hanno mostrato una riduzione nella seconda metà dell’anno, se pur in misura assai meno accentuata rispetto al gas. In ogni caso, a partire da dicembre 2022 le importazioni di petrolio russo si sono bloccate con l’embargo europeo.

Nonostante un risultato complessivamente positivo rimane la realtà di alcune imprese colpite, anche gravemente, dalla rottura delle relazioni commerciali con la Russia. Tuttavia, dal Def risulta che anche i settori più esposti sul mercato russo hanno saputo diversificare i mercati di sbocco per le proprie merci, risultando danneggiati solo marginalmente.

 

La meccanica, il settore manifatturiero più orientato al mercato russo, ha registrato una crescita del 10 per cento delle esportazioni complessive. Anche il sistema della moda (tessile e abbigliamento), nell’immaginario collettivo estremamente vocato alla Russia, fa registare buoni risultati per il  riposizionamento nel mercato globale: l’aumento delle vendite all’estero (+16,9 per cento, pari a +9,4 miliardi) è stato solo in minima parte eroso dalla performance negativa registrata nei confronti del mercato russo (-27,6 per cento, pari a -370milioni).

Dopo un anno di guerra l’economia italiana ha dimostrato che può fare a meno degli idrocarburi russi, cosa su cui tanti erano scettici, e le imprese italiane che non hanno bisogno del mercato russo, che è sempre stato importante più nell’immaginario collettivo che nella realtà. 

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