Foto Epa, via Ansa

Dopo il default di Svb

La colpa del crac della Silicon Valley Bank "è delle politiche ultraespansive”. Parla Bruni

Mariarosaria Marchesano

Per il docente di politica monetaria internazionale all’Università Bocconi e vice presidente dell’Ispi "l’Europa non corre grandi rischi, perché qui la vigilanza funziona, a volte è talmente pressante che i banchieri se ne lamentano, ma questo rigore costituisce una garanzia per la stabilità finanziaria"

Neanche una decina di giorni fa la Silicon Valley Bank (Svb) annunciava di essere stata riconfermata nella classifica di Forbes delle migliori banche d’America e di essere stata inclusa nell’elenco delle “Financial All Stars”. Dietro la ridente facciata, però, c’era un baco che stava mangiando l’anima stessa dell’istituto di credito specializzato nei prestiti alle start up tecnologiche americane. Gli aumenti dei tassi d’interesse decisi dalla Fed per combattere l’inflazione hanno, infatti, sia aumentato a dismisura il costo del debito di queste società sia eroso i coefficienti di liquidità della Svb e di tutte le altre banche che fanno il suo stesso mestiere.

   

Nasce così un crac che gli Stati Uniti non hanno visto arrivare ma che non sorprende chi conosce a fondo il lato debole di quel sistema che Franco Bruni, docente di politica monetaria internazionale all’Università Bocconi e vice presidente dell’Ispi, racconta nel suo libro in uscita: “Oltre le Colonne d’Ercole” (Egea). “Secondo me non si è riflettuto abbastanza sulla responsabilità delle politiche monetarie espansive negli anni che hanno preceduto il crac di Lehman Brothers – dice Bruni in un colloquio con il Foglio –. Tutta la colpa è stata attribuita all’inadeguatezza dei regolamenti, che pure ha avuto un ruolo importante, ma l’eccesso di liquidità nel sistema ha determinato, allora come oggi, condizioni di mercato talmente particolari da rendere insostenibili le attività finanziarie a debito, come i prestiti per la casa e quelli alle start up quando un fiammifero come l’inflazione accende la miccia del rialzo dei tassi”. Ma la Fed non è stata l’unica a gonfiare di liquidità il sistema durante gli anni della pandemia. La Bce ha fatto lo stesso salvo invertire bruscamente la rotta per frenare la corsa dei prezzi innescata dallo choc energetico. Vuol dire che quello che è accaduto alla banca della Silicon Valley si potrebbe verificare anche per una realtà europea? La reazione di paura dei mercati è per l’economista fisiologica, ma l’Europa, aggiunge, “non corre grandi rischi, perché qui, per fortuna, la vigilanza funziona, a volte è talmente pressante che i banchieri se ne lamentano, ma questo rigore costituisce una garanzia per la stabilità finanziaria”.

   

Dopo il default di Svb e dopo che altre banche (Signature Bank e si parla anche di First Republic) rischiano di subire la stessa sorte, la Casa Bianca è intervenuta – insieme con la Federal Reserve e la Sec – con un’operazione che non ha voluto definire di “salvataggio”, anche se di fatto di questo si tratta, proprio per evitare un effetto domino su scala globale. “Non vogliamo il contagio”, ha detto il segretario del Tesoro, Janet Yellen, mentre il presidente Joe Biden ha garantito che l’intervento su Svb non sarà a carico dei contribuenti americani. Ma non è bastato per tranquillizzare le borse che ieri in Europa hanno vissuto una giornata di panico (Piazza Affari ha perso 4 per cento), mentre paradossalmente Wall Street apriva positiva perché gli investitori hanno cominciato a scommettere sullo stop ai rialzi dei tassi d’interesse. In pratica, il crac di Svb potrebbe essere la leva per far cambiare marcia alla politica monetaria di Jerome Powell. Non è così? “Non mi sorprenderebbe – dice Bruni – capita spesso che il rapporto tra autorità monetarie e governo finisca in corto circuito per effetto di pressioni politiche per mantenere tassi a zero oppure negativi com’è stato negli ultimi dieci anni. Ma accettare questo significa rischiare una spirale di aumento dei prezzi che può generare effetti disastrosi sull’economia”.

 

E’ possibile che questo clima condizioni anche la prossima riunione della Bce (16 marzo) che dovrebbe aumentare i tassi in Europa di altri 50 punti base? “Credo più probabile che la Bce confermi l’aumento previsto ma non escludo che si interroghi su cosa è meglio fare: continuare la stretta monetaria per combattere l’inflazione oppure prendersi una sosta per ristabilire un po’ di tranquillità sui mercati”. Il tema della vigilanza, comunque, esiste ed è un altro fattore che rende diversi gli Stati Uniti dall’Unione europa. “Negli anni successivi al crac di Lehman Brothers, le regole per mantenere alto il grado di solvibilità delle banche furono consolidate dal Financial stability board voluto da Mario Draghi e oggi le grandi ma anche medie banche europee sono solide. Lo stesso vale per le grandi banche americane che rappresentano, però, il 50 per cento del sistema finanziario. Per le piccole e medie i regolatori statunitensi non sono stati così attenti nel preservare gli indici di solvibilità”.

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