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"Not in my backyard"

Soprintendenze in trincea, tra Pnrr da spendere e fame di rinnovabili

Marianna Rizzini

Vincoli paesaggistici, una normativa complessa, il Nimby dietro l'angolo. Come si comporterà il nostro sistema di tutela, tra progetti finanziati dall'Europa e crisi energetica da combattere? Un'indagine e qualche domanda ad Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura

Non si vedono, ma sono in qualche modo dappertutto, le quarantaquattro soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, organi periferici del ministero della Cultura e simbolo, a seconda dell’occhio di chi guarda, di tutela preziosa o di conservazione miope, di presidio del patrimonio artistico o di vicolo cieco, di baluardo anti-smantellamento o di moloch del Nimby (not in my backyard). Non agiscono con squilli di tromba, ma quando lo fanno producono effetti a lungo termine. Non vengono nominate, neanche evocate, quasi, fino a quando non esercitano il loro potere di veto, per i detrattori, o di protezione, per gli estimatori, su opere e interventi che riguardino città, campagne, siti. Ed è in quel caso che si producono battaglie mediatiche, politiche, giuridiche, con ricorsi al Tar e appelli, grancassa sui quotidiani e raccolte firme. Più volte in passato ci si è posti il problema: il sistema delle soprintendenze va riformato o no? E se sì, come? Ma ora, in un momento di cambiamenti drammatici nell’assetto economico, sociale, energetico e culturale, tra pandemia, guerra, crisi e certezze che si sgretolano, la storia di queste istituzioni territoriali arriva a confondersi con l’urgenza della transizione energetica, e la domanda diventa un’altra: come velocizzare il processo di adattamento alle nuove esigenze e alle emergenze attuali, pur tutelando territorio, monumenti e città? Come uscire dalla polarizzazione soprintendenze-aziende o soprintendenze-amministrazioni locali (e privati cittadini)? E davvero si possono disegnare contorni così netti, con accuse reciproche così forti, con il soprintendente che dice “no” visto come una sorta di mandarino, arcigno custode del passato, e con gli altri, quelli che vogliono modificare e innovare, visti come i barbari  che vogliono lo smantellamento dei tesori artistici e paesaggistici? 

La storia è complessa e molto italiana, se non altro per il numero di norme nazionali e locali che si rincorrono e si intrecciano, motivo per cui la questione “burocrazia” in Italia è così sentita rispetto ad altri paesi: secondo i dati 2020 dell’ufficio studi della Cgia, in Italia si stima vi siano 160.000 norme, di cui 71.000 promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale e locale. In Francia sono 7.000, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3.000. Altro dato: nel 2022 il governo Draghi ha autorizzato impianti per la produzione di energia rinnovabile per 5 mila megawatt (negli anni precedenti la media era di circa 800). E ha “rovesciato” per trentadue volte le decisioni negative delle soprintendenze: per esempio per una serie di impianti eolici in provincia di Foggia e Brindisi, e ancora in Basilicata e in Sardegna. Ma l’intreccio tra azione degli enti locali, azione delle imprese e azione delle soprintendenze non è sempre lo stesso: ci sono casi in cui a essere accusata di bloccare non è la Soprintendenza ma la regione, altri in cui (è successo a Firenze, come si vedrà) è il comune a contrapporsi alla Soprintendenza. 

Nel 2022 il governo Draghi ha  “rovesciato” per 32 volte le decisioni delle soprintendenze: per esempio per gli impianti eolici in Puglia

Lo spartiacque è il Pnrr. Il quadro è complicato: siamo nel dopo pandemia, si attendono i ristori. Si parla in molte regioni dell’implementazione di impianti fotovoltaici ed eolici, ma il problema è che in molte regioni non c’è un piano paesaggistico, e l’arrivo dei fondi svela difficoltà pre-esistenti. Nel Lazio, per esempio, racconta un funzionario pubblico, ci si è trovati più volte di fronte a uno stop proprio perché si è “partiti dal basso”, magari perché un’impresa sceglieva un’area guardandola dal punto di vista energetico e non paesaggistico, le amministrazioni locali permettevano di andare avanti ma poi, quando si arrivava a chiedere un parere alla Soprintendenza, ci si scontrava contro il vincolo precedente. In altre parole: in assenza di un piano paesaggistico, può capitare di partire da un’area vincolata senza rendersi conto subito che si incorrerà nello stop. Non solo: il fatto che alcune regioni abbiano un piano paesaggistico, ma molte altro no (o non lo hanno aggiornato), fa sì che in alcune regioni provviste di piano, come la Puglia, si concentrino molte richieste (per impianti eolici, per esempio), al limite della saturazione. Da lì i “no” della Soprintendenza, il conflitto con le amministrazioni e l’approdo in Consiglio dei ministri (dove, come si è detto, si è più volte, nell’ultimo anno, intervenuti per sbloccare la procedura). Sarebbe obbligatorio, per le regioni, dotarsi di un piano paesaggistico, ma essendo uno strumento molto complesso in molti casi non si è provveduto. 

Visto l’arrivo dei fondi europei, si è intanto cercato di semplificare la normativa. Soprattutto, è stata creata la Soprintendenza speciale per il Pnrr, concepita come uno strumento di rafforzamento del ministero e dell’azione di tutela, al fine di coordinare i procedimenti che si originano dall’attuazione del Pnrr. Si pone però comunque un tema culturale: si preferisce a prescindere non modificare in alcun modo un paesaggio, anche se non c’è impatto su ambiente ed eventuali siti storici, oppure no? 

Con l’arrivo dei fondi europei, si cerca di semplificare: le norme in Italia sarebbero 160.000, in Francia sono 7.000, nel Regno Unito 3.000

Intanto, con l’incombere della crisi del gas, si è mosso il mondo produttivo e dell’energia. Il 10 ottobre scorso Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura – che rappresenta oltre il 70 per cento del mercato elettrico italiano – ha rivolto un appello urgente ai governatori e ai sindaci dei comuni italiani per chiedere di contribuire a risolvere l’emergenza energetica autorizzando velocemente le numerose richieste di costruzione di nuovi impianti rinnovabili. “Non c’è più tempo”, si legge nell’appello, “in Italia la povertà energetica sta velocemente crescendo, a causa sia dei prezzi sia della carenza di gas. I cittadini, le imprese e anche le vostre istituzioni hanno estremo e urgente bisogno di elettricità a basso costo. Le regioni e i comuni possono fare la differenza, e hanno la responsabilità di farlo, permettendo un rapido aumento della produzione di elettricità rinnovabile. Il governo ha già stanziato circa 70 miliardi di euro per tamponare l’emergenza caro energia. Ma il settore elettrico italiano ritiene che le regioni e i comuni possano contribuire con un deciso cambio di passo rispetto al passato…”.

Realizzando 10 GW all’anno di rinnovabili da qui al 2030, Elettricità Futura stima benefici economici per oltre 40 miliardi di euro all’anno e mezzo milione di posti di lavoro entro i prossimi 8 anni. E le soprintendenze? “L’emergenza energetica è gravissima”, dice Re Rebaudengo al Foglio, “e si sta trasformando in una crisi economica che si aggiunge a quella climatica. Recentemente, il Consiglio dei ministri ha autorizzato nuovi impianti rinnovabili. Il suo intervento si è reso necessario per superare il parere negativo delle soprintendenze. E’ chiaro che l’esecutivo riconosce l’importanza di accelerare la diffusione di nuove installazioni rinnovabili per contrastare gli effetti dell’emergenza energetica.  Ma è altrettanto innegabile che, se si rende necessario il suo intervento, abbiamo un grosso problema.  Nella maggior parte dei casi, le soprintendenze bocciano le richieste di autorizzazione per tutelare il paesaggio. Il cambiamento climatico sta già devastando i territori d’Italia e se la temperatura continuerà a salire, il paesaggio che abbiamo adesso e vogliamo tutelare non lo avremo più. Per questo, fermo restando la grande stima per il lavoro delle soprintendenze, trovo sia inspiegabile la crociata contro i nuovi impianti rinnovabili, che contribuiscono a ridurre le emissioni di CO2. Quindi, non solo l’emergenza energetica ma anche quella climatica richiede più rinnovabili. Lo stesso vale per il caro energia. Autorizzare un nuovo impianto rinnovabile nei tempi previsti dalla legge significa rispettare il diritto dei cittadini italiani a disporre di elettricità a basso costo”.

Che cosa succede, in pratica, quando si dice “no”? “Rallentare un’autorizzazione, o peggio ancora negarla, significa precludere all’Italia quel diritto e grandi opportunità economiche e occupazionali. Bisogna che tutti i funzionari pubblici coinvolti nel rilascio delle autorizzazioni prendano atto della grande responsabilità che hanno, comprese le soprintendenze. E’ giusto ricordare che gli stessi uffici del ministero della Cultura sono in affanno tra l’aumento di richieste di nuovi progetti rinnovabili, la carenza di personale e molte regioni che non hanno ancora approvato i piani paesaggistici. Anche i ritardi normativi non aiutano il lavoro delle soprintendenze. Ad esempio, la mancanza del decreto sulle aree idonee, per quanto non debba più essere la scusa per dire no, non aiuta di certo il lavoro dei funzionari del ministero della Cultura”. Sono gli stessi ritardi normativi che potevano ostacolare anche il lavoro delle Commissioni Pnrr-Pniec e Via-Vas, dice il presidente di Elettricità Futura: “Hanno fatto il massimo nonostante la carenza di risorse e i provvedimenti in ritardo. La prima ha finora dato il 100 per cento di pareri positivi ai progetti esaminati, e qualche giorno fa ha autorizzato 2,5 GW di nuovi impianti rinnovabili. Nonostante manchino dei provvedimenti importanti però, regioni e comuni possono, e dovrebbero, fare la differenza”.

Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura: “E’ inspiegabile la crociata contro  gli impianti rinnovabili”

Da qui l’appello di cui sopra per chiedere, dice Re Rebaudengo, “di accelerare il rilascio delle autorizzazioni per impianti rinnovabili per almeno 10 GW all’anno, target peraltro coerente con gli impegni di decarbonizzazione dell’Italia. Più rinnovabili una regione e un comune autorizzeranno, maggiori saranno i benefici locali. Realizzando 10 GW all’anno di rinnovabili da qui al 2030, possiamo creare benefici economici per oltre 40 miliardi di euro all’anno e mezzo milione di posti di lavoro entro i prossimi 8 anni, come dimostra lo studio ‘La filiera italiana delle tecnologie per le energie rinnovabili e smart verso il 2030’ condotto da Althesys con il contributo scientifico di Enel Foundation, presentato in anteprima all’Assemblea pubblica di Elettricità Futura, a fine giugno 2022”.

C’è però un prima: prima del Pnrr le tensioni tra amministrazioni locali e soprintendenze riguardavano spesso interventi in città d’arte. A Firenze, per esempio, più volte il sindaco Dario Nardella si è trovato di fronte ai no del soprintendente Andrea Pessina: per le pensiline dei tram, per la giostra panoramica, per grandi interventi di pianificazione. Con i fondi europei in arrivo via Pnrr, i progetti infrastrutturali sul territorio fiorentino devono essere approvati e poi realizzati entro il 2026. Si dovrà chiamare in causa il governo o si procederà senza rimpallo di no e ricorsi al Tar? Intanto, qualche giorno fa, il Tar ha dato ragione alla Soprintendenza, sempre a Firenze, riguardo a una progettata installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto di una casa alle pendici del Monte Morello, in un’area soggetta a vincolo paesaggistico. I proprietari della casa hanno ripetutamente modificato il progetto iniziale per venire incontro alle indicazioni della commissione edilizia del comune, che pure aveva dato parere favorevole. Dopo la bocciatura della Soprintendenza, e le successive ulteriori modifiche al progetto, si è arrivati appunto al Tar. E in questo caso la questione è stata sollevata da un privato cittadino. Che cosa succederebbe, in scala, rispetto a eventuali grandi opere da realizzare entro la scadenza Pnrr? 

Interpellato sui suoi “no” da Repubblica, nel marzo scorso (“Renzi voleva abolire le soprintendenze, teme sia ancora obiettivo della politica, magari per dare le competenze alle regioni?”), il soprintendente Pessina  rispondeva così: “E’ vero che la nascita delle soprintendenze è giunta alle soglie del secolo, ma non per questo a mio avviso non è attuale o ancora ben solido il loro impianto. Sulla base della mia esperienza non posso che augurarmi che la tutela rimanga saldamente nelle mani dello stato. Diversamente saremmo ingenui a credere che la politica locale non condizionerebbe pesantemente decisioni che devono restare di natura tecnica e non privilegiare l’interesse economico di pochi”. 

Qualche giorno fa a Firenze, il Tar ha dato ragione alla Soprintendenza  per bloccare l’installazione di un impianto fotovoltaico in una casa

Sempre le soprintendenze sono state oggetto di polemiche ai tempi del disegno di legge Madia, nel 2015. All’idea di sottoporre i soprintendenti ai prefetti alcuni intellettuali sono insorti, e anche il ministero della Cultura aveva sollevato dubbi. Tra gli altri, avevano lanciato il loro j’accuse Dario Fo, Corrado Stajano, Salvatore Settis, Tomaso Montanari e Stefano Rodotà. Il disegno di legge era stato definito come “il più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un governo della Repubblica … attacco finale e definitivo”. Montanari in particolare invitava a resistere “strenuamente”:  “Le soprintendenze non funzionano? Si finanzino adeguatamente (rimediando finalmente al gigantesco taglio inflitto da Berlusconi, Tremonti e Bondi nel 2008). I soprintendenti non funzionano? Li si rimuova, con decisione e trasparenza. Ma con la confluenza nelle prefetture non si risolverà nessun problema, e di fatto le soprintendenze semplicemente spariranno: il che rende legittimi i dubbi di chi pensa che il problema non sia l’inefficienza delle soprintendenze, ma anzi la residuale, e spesso eroica, forza con la quale, nonostante tutto, si oppongono alle speculazioni che continuano ad affogarci nel cemento”.

Arriva un nuovo governo, la crisi energetica minaccia l’inverno, la questione resta aperta: come fare in modo che i fondi europei non vadano sprecati?

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.