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I dati dal Veneto

Pandemia più crisi energetica? No, a mettere le imprese in ginocchio è stata solo la guerra di Putin

Francesco Gottardi

Un’indagine su crescita e fatturato delle aziende venete dimostra che al termine del 2021 la situazione era migliore rispetto a quella pre-Covid. Tanto da spingere gli investimenti verso l’estero: ora molte imprese sono a rischio chiusura

O si risolve il caro bollette, o fare impresa diventerà un’impresa. Gli appelli del tessuto produttivo del nordest non sono mancati. Un simbolo del territorio come Matteo Zoppas, di Acqua San Benedetto, aveva parlato di “rischio deindustrializzazione”. Enrico Carraro, presidente di Confindustria Veneto, ha rilanciato sostenendo che “sebbene la nostra economia non sia ancora compromessa, il rallentamento degli investimenti preoccupa e costringe a navigare a vista”. Eppure, la situazione pre-crisi energetica non era affatto precaria. Addirittura fiorente, secondo l’ultimo studio dell’Osservatorio Aub di Aidaf – Associazione italiana delle aziende familiari –, Unicredit e Università Bocconi. Con una rivelazione che accresce il rammarico: quando Putin ha invaso l’Ucraina, le imprese venete erano nel pieno di un ampio processo di internazionalizzazione. Andato in fumo nel giro di pochi mesi.

I numeri

L’analisi, che ricopre i dati fino a fine 2021, sarà discussa a Treviso il 20 e 21 ottobre in occasione del prossimo Family business forum. Dieci mesi fa il Veneto contava 2.205 imprese con fatturato superiore ai 20 milioni di euro, che a loro volta generavano un fatturato di 174 miliardi – il 53,5 per cento di quanto prodotto dal sistema imprenditoriale regionale e quasi il 10 per cento dell’intero pil italiano. Di questi soggetti virtuosi, il 74,3 per cento sono a conduzione familiare: un dato a ennesima riprova dell’importanza strutturale delle Pmi sul territorio, superiore rispetto alla media nazionale (65,6 per cento) e che comprende 347mila dipendenti. Anche considerando i colossi di settore, risiede in Veneto circa il 15 per cento dei gruppi familiari italiani con fatturato superiore al miliardo di euro.

E passiamo alle performance. Le aziende familiari nel 2021 registravano un alto tasso di crescita (+24,1 per cento sul 2020), superando i livelli pre-pandemia. Anche in termini di solidità finanziaria (il loro tasso di rendimento è passato dal 7,6 al 9,9 per cento) e patrimoniale: il rapporto di indebitamento, sceso al 3,3 per cento, è il più basso del decennio (lo è anche il 4,4 a livello nazionale). Tutti segnali di benessere, che dimostrano come le nostre imprese abbiano saputo assorbire le difficoltà derivate dall’emergenza sanitaria rilanciandosi con forte competitività. E cercando così nuovi sbocchi: alla vigilia delle prime bombe su Kyiv, il 34,1 per cento delle aziende familiari venete stava realizzando investimenti diretti all’estero (media paese: 30,3 per cento). La propulsione arrivava in particolare da soggetti di grandi dimensioni, che facevano da apripista alle Pmi. Sintomo di una vocazione internazionale sempre più diffusa.

 

L’impatto della guerra

Simili dati aggregati per i primi mesi del 2022 non sono ancora disponibili. Ma qualche indicazione locale rende l’idea. Prendiamo le province di Padova e Treviso, tra le principali aree industriali del Veneto: tra aprile e giugno (fonte: Assindustria Venetocentro), la crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è ancora attiva (+9,9 per cento) ma verso una brusca frenata, l’occupazione regge (+2,4 per cento), mentre gli introiti associati agli investimenti all’estero sono già di tre volte inferiori. Il segno meno subentrerà a quasi tutte le voci nel secondo trimestre del 2022. Con qualche segnale allarmante già nel primo: il prezzo unico dell’energia è dieci volte più alto del 2020 e i rincari di materie prime toccano il 95,3 per cento.

Seguono due considerazioni. Le Pmi, per minori economie di scala e inefficacia dei ristori, sono “i profili più esposti agli shock esogeni e dunque i più a rischio chiusura”, dicono gli imprenditori. Il settore manifatturiero – prodotti in metallo, meccanica, elettronica – e il commercio all’ingrosso sono quelli che accusano maggiormente la crisi delle materie prime: insieme, rappresentano il 75 per cento delle aziende familiari venete. Si capisce allora il grido d’allarme dalla regione. Ma non si caschi nel tranello dell’effetto combinato pandemia più crisi energetica: prima della guerra di Putin, c’era benessere e fiducia nel futuro.

 

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