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Nuove risorse

Opportunità che nascono dalla crisi: perché rinunciare del tutto al gas di Putin è possibile

Stefano Cingolani

Algeria, Francia, Egitto, Grecia... sotto le acque del mar Mediterraneo c'è ancora tanto da sfruttare, senza essere dipendenti dalla minaccia russa 

E se fosse una liberazione? Se fossimo noi europei, senza subire il ricatto di Vladimir Putin, a tagliare il cappio che scelte sbagliate, incaute e non del tutto chiare, hanno stretto attorno al nostro collo? Se anche il Vecchio continente seguisse l’esempio americano? Durante la crisi petrolifera scoppiata con la rivoluzione iraniana, il presidente Jimmy Carter fece approvare una direttiva sulla sicurezza nazionale che poneva al centro l’approvvigionamento energetico. La piena autonomia è stata realizzata molto tempo dopo grazie a innovazioni come l’estrazione di gas e petrolio da rocce scistose. Tuttavia a partire dai primi anni Ottanta l’America e l’Europa occidentale furono messe al sicuro.

 

Grazie alla liberalizzazione dei prezzi e ai nuovi giacimenti (soprattutto nel Mare del Nord e nel Golfo del Messico), venne ridimensionato il cartello dei paesi produttori (l’Opec). Fu la risposta liberale all’embargo degli sceicchi. Oggi non siamo di fronte a una guerra di mercato, ma a un conflitto armato, abbiamo davanti non l’Arabia Saudita, ma la Russia nucleare, gli Usa e i paesi europei hanno imposto una serie di sanzioni, mentre il Cremlino manovra i rubinetti del metano per mettere l’Europa con le spalle al muro. Si levano già alti lai, dopo l’inflazione arriva il razionamento e il generale inverno marcia inesorabile. Eppure ancora una volta la crisi sta mettendo in moto cambiamenti profondi che possono rivelarsi clamorosamente positivi.

 

Il primo è che Mosca non è più il fornitore numero uno di gas in Europa. Gazprom è stato rimpiazzato non da “stati canaglia”, ma dal colosso norvegese Equinor (ex Statoil). Nel 2019 la Russia forniva all’Europa (Gran Bretagna compresa) 16 miliardi di metri cubi. Con la pandemia sono scesi a 12 miliardi. A giugno di quest’anno sono crollati a 4,86 miliardi. Testa a testa con la Norvegia c’è il gas liquefatto che arriva dal Qatar e dall’America (circa 12 miliardi). Poi i metanodotti dal Nordafrica (soprattutto dall’Algeria) e quello del Levante con il Tap che parte dal Tagikistan.

 

Attenzione, questi esportatori alternativi non riescono ancora a colmare il gap soprattutto nel paese più esposto, la Germania. L’Italia che si è mossa prima e meglio, a giugno aveva a disposizione 200 milioni di metri cubi, 40 in più della domanda per famiglie e imprese. Dal Tap che parte dall’Azerbaigian e dall’Algeria sono arrivati 100 milioni di metri cubi, altri 50 milioni dai tre rigassificatori in attività (La Spezia, Livorno e Rovigo), il resto dal Mare del Nord al passo Gries e a Tarvisio dove finisce anche il metanodotto russo. Ma s’avvicina l’autunno e gli impianti di stoccaggio sono pieni solo per due terzi. Dunque, non siamo del tutto al sicuro e un blocco improvviso provocherebbe difficoltà immediate. Eppure lo scenario energetico europeo per gli idrocarburi è ben più ricco di quel che si dice. E consente di prepararci anche a un embargo.

 

La svolta fa perno sul Mediterraneo, parte tra Goro e Ravenna, scende dall’Adriatico all’Egeo, da Cipro si dirama al largo di Israele e dell’Egitto fino alla Libia e all’Algeria. Sotto le acque del Mare Nostrum c’è una enorme quantità di metano ancora da sfruttare. Ritrovamenti importanti sono già stati fatti e una fitta miriade di ricerche sono in corso. Zhor, scoperto dall’Eni al largo dell’Egitto, è il più grande con 850 miliardi di metri cubi, poi il Leviathan (Israele) con 500 miliardi, l’Algeria ha riserve per 159 miliardi, la Libia per 53 miliardi. Nel Nord Adriatico si stimano tra i 50 e 70 miliardi. Liberarci della garrota russa, dunque, è possibile con una serie di mosse strategiche.  

 

L’East Mediterranean Gas Forum tra Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Giordania, Autorità nazionale palestinese, Italia e Francia, può diventare una sorta di Opec alternativa e coordinarsi con l’Unione europea, la quale a sua volta dovrebbe adottare una direttiva strategica sulla indipendenza energetica. Davvero un rivolgimento di enorme impatto, una trincea dal Mare del Nord al Mediterraneo. L’Italia potrebbe prendere in mano questo progetto, convincendo una tremebonda Germania e una Francia angosciata dagli spettri dei gilet jaunes. A quel punto, il potere di mercato sarebbe spostato definitivamente a sfavore della Russia che non potrebbe compensare la perdita economica con vendite scontate in Asia. Il cammino è arduo, inutile ripeterlo, gli inciampi sono molteplici, la volontà politica viene annunciata in teoria e smentita in pratica. D’accordo. Il catalogo è questo, lungo quanto quello di Leporello. Ma vale più che mai la legge di Tina (acronimo thatcheriano per “There is no alternative”).

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