I tempi di Putin. Mosca ha forza e risorse nel breve periodo, ma più avanti le sanzioni peseranno molto 

Federico Bosco

Ad aprile la governatrice della Banca centrale russa, spiegando che con l’esaurimento delle scorte le aziende avrebbero dovuto adattarsi a nuovi modelli di business, muovendosi tra sanzioni da aggirare, difficoltà logistiche e la ricerca di nuovi partner stranieri.Quel momento è arrivato 

Sulla carta sembra un buon momento per Vladimir Putin. Dopo aver superato l’umiliazione della rinuncia a Kyiv e ai piani di smembramento dell’Ucraina, le forze armate russe riescono a tenere i territori conquistati e imporre la propria agenda attraverso il blocco dell’export del grano ucraino. Nel frattempo, la Federazione Russa continua ad avere le casse piene grazie ai ricavi energetici gonfiati dai prezzi globali elevati, permettendo a Mosca di usare il gas come strumento di guerra economica. Ma nonostante questo vantaggio di breve termine – che Putin non sta usando per negoziare – l’orizzonte economico (e geopolitico) della Russia non è affatto roseo.

   
Ad aprile la presidente della Banca centrale russa Elvira Nabiullina aveva detto ai membri della Duma che a partire dall’estate sarebbero arrivati gravi cambiamenti per l’economia russa. “Il periodo in cui l’economia può vivere di riserve è finito, nel secondo e terzo trimestre del 2022 entreremo in un periodo di trasformazione strutturale”, affermava la governatrice della Banca centrale, spiegando che con l’esaurimento delle scorte le aziende avrebbero dovuto adattarsi a nuovi modelli di business, muovendosi tra sanzioni da aggirare, difficoltà logistiche e la ricerca di nuovi partner stranieri. Oltre a prendere in considerazione la possibilità di passare alla produzione di componenti che venivano importati, anche a costo di sacrificarne la qualità. 

    

Quel momento è arrivato. L’ultimo rapporto sull’economia russa prodotto dall’istituto di statistica federale Rosstat mostra che la produzione è precipitata in più settori. I numeri più impressionanti sono quelli dell’automotive, con un crollo del 96,7 per cento rispetto al 2021. La produzione di autocarri è scesa del 39,3 per cento, quella dei motori diesel e benzina del 57 per cento. E’ crollata anche la produzione di frigoriferi (-58,1 per cento), quella delle lavatrici (-59,2), dei motori elettrici (-49,9) e dei televisori (-49,7). 

   

Il problema infatti è che l’economia russa è profondamente legata a quelle occidentali, e l’interruzione dei rapporti commerciali può farla regredire ai tempi dell’Unione Sovietica ben prima che il sistema riesca ad adattarsi a quel piano di “sostituzione delle importazioni” a cui neanche il governo russo nonostante lo sforzo propagandistico crede davvero. Fino all’anno scorso l’Unione europea era il principale partner commerciale della Russia: nel 2021 segnava il 36 per cento del commercio estero russo, rappresentando lo sbocco di oltre la metà delle esportazioni russe di petrolio e prodotti petroliferi, oltre al 60 cento delle forniture di gas, al 30 per cento del carbone e il 35 per cento di alluminio. Nello stesso anno, la Cina segnava circa 18 per cento del commercio estero russo, mentre i paesi dell’Unione economica eurasiatica – la versione russa dell’Ue nello spazio post-sovietico composta da Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan – arrivava appena all’8,8 per cento. Le possibilità della svolta orientale ed euroasiatica quindi è tutta da vedere, mentre la dipendenza dalle importazioni dall’Europa per beni che vanno dalla farmaceutica fino alle armature in acciaio per l’edilizia è la realtà su cui la Russia aveva costruito il suo modello di sviluppo

   

La “trasformazione strutturale” di cui parlava Nabiullina e che viene promossa dal ministero dello Sviluppo economico russo non è una liberazione dalla morsa occidentale, ma un processo forzato e doloroso che obbliga le aziende a una ricerca di forniture limitata a paesi che non hanno aderito alle sanzioni e società che non vogliono rischiare sanzioni secondarie, un ritorno ai modelli di produzione precedenti che non offrono la qualità a cui i russi si erano abituati, un abbassamento degli standard di sicurezza (come sta succedendo successo autovetture e aerei civili), un deficit di merce sugli scaffali e infine alla cessazione di alcune produzioni che porterà a un’economia meno dinamica e a una maggiore disoccupazione.

   

Questa traversata porterà a un indebolimento della Russia, anche sul piano strategico, e a un declino della qualità della vita della popolazione. Ma probabilmente la preoccupazione di Putin non è consegnare alle future generazioni una Russia migliore, ma solo salvare e perpetuare il suo regime.

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