Biden volerà in Arabia, ma l'Opec+ ha già deciso di aumentare la produzione di petrolio

Ugo Bertone

A luglio e agosto saranno prodotti 650mila barili al giorno giorno invece di 400mila. Il presidente americano incontrerà Mohammed Bin Salman, con un occhio alle Russia e uno alle elezioni 

La notizia, per ora, non è ufficiale. Ma pare proprio che a fine mese il presidente americano Joe Biden inserirà una sosta a Riyad nel mezzo del suo tour europeo per il G7 e il vertice Nato. Con qualche imbarazzo, perché è scontato che ad attendere l’inquilino della Casa Bianca sarà l’uomo forte del Regno saudita, il principe Mohammed Bin Salman, ovvero il responsabile politico, anzi il probabile mandante dell’assassinio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi. E così Biden, già sotto tiro per le trattative con il regime di Nicolas Maduro in Venezuela e le possibili intese sul greggio iraniano, si dovrà rimangiare la promessa che, in caso di visita in Arabia Saudita, si sarebbe limitato a un saluto a re Salman, ignorando il principe ereditario Mbs, che pure ha in mano le leve del potere. Promessa incauta, perché ancora una volta Biden dovrà piegarsi alla regola che, in materia di petrolio, davvero pecunia non olet. 


Soprattutto stavolta, come non accadeva da almeno 40 anni, il mercato del petrolio è davvero tornato nelle mani dell’Opec. Oggi il cartello dei produttori allargato alla Russia ha fatto sapere che aumenterà di quasi 650.000 barili al giorno la produzione di greggio nei mesi di luglio e agosto, rispetto agli aumenti pianificati di circa 400.000 barili al giorno. Prima dell’annuncio, il Financial Times aveva rivelato che l’Arabia Saudita si è resa disponibile ad aumentare la sua quota nel caso in cui quella della Russia dovesse calare in modo sostanziale a causa delle sanzioni per raffreddare le tensioni di prezzo sui mercati, come auspicato da tempo dagli americani. Ma non è il pressing di Biden o l’effetto del rilascio delle riserve strategiche a stelle e strisce (un milione di barili al giorno per sei mesi) ad aver convinto il principe Mbs, un tipo permaloso e per niente disposto a dare una mano a Biden, a cambiare idea. All’origine della svolta preceduta in settimana da una visita di Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo, c’è la consapevolezza che le nuove sanzioni Ue contro Mosca e, non meno importante, l’accordo tra Bruxelles e la Gran Bretagna per vietare le assicurazioni sulle navi che trasportano petrolio russo, rischiano di far saltare gli equilibri del mercato. Una sorta di harakiri per chi, come l’Arabia Saudita, detiene le chiavi del banco. 


Grazie all’aumento delle entrate petrolifere il surplus di bilancio saudita, 15 miliardi dollari l’anno scorso, schizzerà oltre quota 80 miliardi. Una sorta di manna, ben simboleggiata dal sorpasso di Aramco su Apple nella graduatoria delle società leader in Borsa che, a differenza di quanto successo in precedenti boom, non verranno destinati ad aumentare gli stipendi del settore pubblico o a finanziare nuove grandi opere. Almeno così dice il principe, deciso a traghettare il Regno nell’economia post-petrolio. Che ci riesca o meno lo si vedrà. Per ora l’Opec, saldamente controllata da Ryiad (e dal 2016 con la collaborazione di Mosca), intende seguire una politica autonoma, ben poco attenta agli interessi di Washington. Il cartello allargato, di cui continua a far parte anche la Russia, sta lavorando per compensare il calo della produzione petrolifera russa, che è diminuita di circa 1 milione di barili al giorno negli ultimi mesi a causa delle sanzioni imposte dall’Occidente in risposta all’invasione dell’ Ucraina. Senza per questo voltar le spalle alla Russia, cui sarà consentito di rientrare nelle quote già concordate una volta superata l’emergenza ucraina. Una sorta di deroga già concessa in passato a Libia e a Iran. “Anche se migliorassero i suoi rapporti con gli Stati Uniti – spiega Amrita Sen, uno dei guru del settore più seguiti – difficilmente Mbs volterà le spalle alla Russia”. 


Insomma, al presidente degli Stati Uniti non basterà chinare il capo per chiudere la frattura con il principe saudita. Così come con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğgan, Biden dovrà piegarsi alla realpolitik. Lo impone la lotta all’inflazione, ormai al primo posto nell’agenda della Casa Bianca in vista del voto di novembre. E nella percezione degli elettori americani il carovita si associa soprattutto al prezzo del carburante: nessun presidente può vincere, è la vulgata, con la benzina oltre i 4 dollari al gallone, un livello già superato il molti stati americani.
 

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