(foto di Tom Fisk)

colli di bottiglia

La Russia e il problema logistico

Ugo Bertone

“C’è un embargo volontario degli armatori”, dice Paolo d’Amico, presidente dell’omonima società di navigazione. La Russia continua a guadagnare sull'export energetico ma è costretta a vendere a prezzi scontati

C’è la guerra dell’energia, ma anche quella degli alimentari. Senza dimenticare il Covid-19 che spinge la fabbrica del mondo, la Cina, a chiudere la porta di Shanghai. Meno di un anno dopo il grande ingorgo di Suez o dei porti Usa. Non mancano i colpi di scena sul fronte dei porti. “Vero. Tra Covid e Ucraina ormai ci siamo abituati a navigare tra le sorprese. Anzi da uno stress all’altro”, dice Paolo d’Amico, presidente dell’omonima società di navigazione attiva nei trasporti marittimi dry e cargo. Un testimone d’eccezione della sfida logistica, quella che avrà un ruolo chiave nello scontro. A partire dall’embargo che potrebbe dare il colpo di grazia a Mosca, bloccando l’export di energia. “In realtà – risponde d’Amico – l’embargo degli armatori nei confronti della Russia è già in atto.  Si tratta di un embargo volontario, perché per ora libero dato che il trade non è sanzionato. Ma i grandi operatori hanno deciso di stare alla larga dalla Russia. Per muovere le commodity Mosca sta usando la sua flotta, oltre al contributo di qualche armatore bislacco che sta lucrando su questa emergenza. Ma l’armamento serio oggi evita di andare in Russia”.

 

Mosca, insomma, ha già compensato i maggiori costi imposti dall’Occidente? “Assolutamente no. Fino allo scoppio della guerra vendevano il loro petrolio e il loro gas all’Europa, che sta dietro il mar Baltico. Oppure al Giappone, a pochi giorni di navigazione da Vladivostok. Ora si ritrovano a cercare clienti più lontani in India e Cina, a impiegare più navi per percorrere rotte più lontane con grande stress per le loro infrastrutture. E sono obbligati a praticare sconti notevoli, nell’ordine di 30/35 dollari al barile”. Una situazione complicata, così come non è certo semplice quella dell’Europa, alle prese con una triplice emergenza: carbone petrolio e, soprattutto gas. “Non solo. Per capre la complessità della crisi, non dimentichiamo che la guerra ha messo sotto stress la marina mercantile nel suo complesso perché coinvolge due paesi chiave nella produzione delle commodity; la Russia, importante sia dal punto di vista energetico che alimentare. E l’Ucraina, grande produttore di grano, mais e leader mondiale dell’olio di girasole. Sembra facile sostituire il girasole, ma l’olio di palma o di soia non sono esattamente la stessa cosa”.  

 

l vero problema è però l’energia. “Assolutamente sì. Partiamo dal gas, cioè l’energia dalla Russia che è più difficile sostituire. Per problemi di costo e non solo. Con l’eccezione del gas algerino, si tratta di passare dall’approvvigionamento via pipeline, più economico, a un sistema di trasporto via navi metaniere. Quel che l’Europa comprerà in America o in Qatar lo dovremo mettere su navi. Ad alto prezzo, perché sono poche: nessuno s’aspettava questo picco di domanda determinato da una situazione così eccezionale”. Poi c’è il carbone. “Possiamo comprare la materia prima in Indonesia, Sud Africa e Australia. Ma basta una cartina geografica per capire i maggiori costi. Senza dimenticare che c’è carbone e carbone: quello russo è particolarmente calorico, l’indonesiano va mischiato per ottenere la stessa redditività. Insomma, ovunque ci giriamo, ci troviamo di fronte a un gioco complicato. E’ un giochino a incastro che richiede tempo. E se dal punto di vista dei volumi petrolio e carbone possono essere affrontati nel tempo in maniera adeguata, per il gas tutto è assai più complicato. Ho una grande simpatia per l’Ucraina, ma aspettiamo prima di prendere una decisione del genere: facciamo prima quel che dobbiamo fare nell’ambito delle possibilità che abbiamo a disposizione”.  

 

Ma chi vincerà alla fine? “La Russia crea comunque cassa e finché fa cassa ne trae un profitto, seppur modesto. Nel frattempo pagherà un alto prezzo a problemi di altro tipo, a partire dai meccanismi di pagamento. Il paese è destinato a fare grossi passi indietro e rischierà problemi sociali enormi. Ma anche noi, seppur in forma più attenuata, avremo i nostri problemi: stiamo dando grandi mazzate al portafoglio famiglie”. E dell’ambiente, infine, non ne parla più nessuno. “Non è detto. Nel breve prevalgono altre esigenze. Ma l’investimento nel verde sarà quel che ci farà uscire dal collo di bottiglia in cui ci troviamo oggi. Abbiamo 28 anni di tempo per uscire dall’età del carbonio. E ce la possiamo fare, con i giusti investimenti pubblici e privati. Nell’idrogeno, per esempio, in cui vedo molto spazio per noi come commodity da trasportare oltre che per trazione delle navi”. 

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