(foto Ansa)

lo scenario

Esuberi e produzione, arrivano al pettine i nodi dell'ex Ilva

Annarita Digiorgio

Nessun accordo sull'Acciaieria di Taranto al tavolo del ministero del Lavoro. I vertici della società considerano carta straccia il piano firmato dall'allora ministro Di Maio. Cosa deciderà adesso Orlando?

Taranto. E’ saltato il tavolo Ilva al ministero del Lavoro. Dopo un mese di trattativa lunedì, nell’ultimo giorno utile prima dell’avvio della cassa integrazione straordinaria, tutto si è concluso con un mancato accordo. Ora la palla è nelle mani del ministro Orlando che si deve assumere la responsabilità di mandare a casa 5 mila lavoratori, senza accordo sindacale. Nella lettera dell’azienda è scritto chiaramente: “Solo il raggiungimento di volumi produttivi pari a 8 milioni di tonnellate, che si presume si concluderà nel 2025 con l’avvio di Afo5, consentirà il totale reimpiego delle risorse”. Cosa che tutti sanno non accadrà mai. Almeno fino a quando non cambierà l’atteggiamento dei partiti. Cosa che però tutti gli schieramenti in campagna elettorale per le amministrative sembrano lontani dal voler fare. Eppure stavolta almeno il premier era stato chiaro: “Estendiamo la garanzia di Sace all’Ilva per consentire all’azienda di aumentare la produzione” ha detto qualche giorno fa Draghi.

L’operazione si rende necessaria perché la procura di Taranto, che dal 2012 tiene sotto sequestro l’area a caldo, ha fatto saltare la vendita ad Acciaierie d’Italia e rinviare la ricapitalizzazione di 600 milioni. Ma come si spiega che nel momento in cui aumenta la produzione, si diminuisce di 3 mila unità la forza lavoro?  Se fino a oggi la Cig era legata a una riduzione della produzione, ora con la ristrutturazione degli altiforni e il piano ambientale quasi completato, Ilva è pronta per arrivare a 6 milioni di tonnellate. Il mercato lo chiede, perché in Italia solo a Taranto si produce acciaio a ciclo completo. Infatti su spinta del governo Ilva sta lavorando a una modifica impiantistica per fornire ghisa a tutte le acciaierie d’Italia.

L’invasione dell’Ucraina ha aggiunto al costo già insostenibile dell’energia quello delle materie prime. Da Russia e Ucraina arrivavano 5,5 milioni di semilavorati per la siderurgia italiana. E solo Ilva può sopperirvi. L’accordo occupazionale in vigore, firmato a settembre 2018, prevede 10.700 occupati per 6 milioni di tonnellate e il reintegro al raggiungimento degli 8 milioni nel 2023 dei 1.700 lavoratori ora in Cig presso l’ Amministrazione straordinaria. E’ su questo punto che è saltata la trattativa. Il cerino l’ha tirato fuori durante il tavolo il segretario della Uilm Rocco Palombella: “Come mai ora che raggiungiamo finalmente quel livello di produzione, ci chiedete 3 mila lavoratori in meno?”. “Quando avete firmato quell’accordo io non c’ero” ha risposto Lucia Morselli.  L’accordo infatti fu firmato al Mise con Di Maio ministro, prima che Conte decidesse di nazionalizzare l’azienda.
 
Se Orlando ora firmerà la Cig straordinaria nonostante l’aumento di produzione, di fatto stralcerà l’accordo fatto da Di Maio, ammettendo che era gonfiato. Considerando che a giugno a Taranto si vota, è più probabile che strappi una rotazione di qualche mese, rinviando di nuovo, come accade da dieci anni, il piano industriale e la sorte dei lavoratori. Con la consapevolezza che però quei 5 mila da domani saranno in piazza a Taranto con Pd e 5 stelle a chiedere la chiusura dell’Ilva. 

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