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Trivellare in casa

La guerra rompe i tabù sull'estrazione di gas e petrolio in Usa e in Italia

Ugo Bertone

La politica del nimby, ovvero le scelte rinviate o mancate con motivazioni ambientali spesso pretestuose, ha toccato punte paradossali tanto negli Stati Uniti quanto da noi. Tutto il mondo è paese, vien da dire 

Quanti tabù saltano in questi giorni di guerra. Gli Usa, pur di chiudere la porta al petrolio di Mosca, sono pronti a far saltare l’embargo agli stati canaglia a partire dal Venezuela. E a chiudere entrambi gli occhi sulle malefatte di un alleato scomodo, il principe saudita Mohammed Bin Salman, al punto dal mettere in programma una visita a Ryiad. Non si esclude addirittura un contatto con l’Iran. Tanto attivismo, però, non sembra in grado di produrre gli effetti voluti: Arabia Saudita ed Emirati, i paesi dell’Opec in grado di contribuire a isolare Mosca, per ora si defilano. Di qui il rischio di una campagna a metà: gli Usa non hanno problemi a compensare il mancato import energetico dalla Russia, che vale il 3 per cento del mercato, ma l’embargo, senza l’arrivo di nuovi fornitori, fa alzare il prezzo della benzina, con effetti devastanti sull’umore degli americani. Un bel guaio, a pochi mesi dalle elezioni di mid term.  


Ma il Wall Street Journal critica Biden. Se vuole aumentare la produzione, nota un editoriale del quotidiano, non deve andare lontano: i produttori di shal oil possono, in tempi relativamente brevi, estrarre il doppio del petrolio che può arrivare dal Venezuela, non prima di otto mesi. I prezzi del greggio, secondo gli analisti, potrebbero così scendere di almeno 20 dollari o presto anche di più. La Casa Bianca replica che ci sono 9 mila licenze per nuove trivellazioni che giacciono nei cassetti delle varie amministrazioni. Ma le richieste delle compagnie, per ora, hanno interessato solo il 10 per cento dell’offerta, cioè la prova provata che i petrolieri preferiscono lucrare sull’aumento dei prezzi. Ma le cose stanno così? In realtà, afferma il Wsj, negli anni si sono moltiplicate regoli e tempi per le autorizzazioni. Così come i contenziosi con la magistratura, tra appelli e controappelli delle pubbliche amministrazioni.  “E’ quasi un miracolo – tuona la Bibbia di Wall Street – che si riesce a estrarre una goccia di greggio in America, vista l’ostilità generale. La crisi ucraina è l’occasione per rivedere la nostra politica”.  


Tutto il mondo è paese, vien da dire. Perché le critiche Usa hanno un’eco immediata in Italia dove la politica del nimby, ovvero le scelte rinviate o mancate con motivazioni ambientali spesso pretestuose, ha toccato punte paradossali. Ad aggravare l’attuale situazione di crisi energetica contribuiscono, ha rilevato il ministro Cingolani, “le scelte sbagliate del passato. Abbiamo fatto una politica implosiva: nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne produciamo solo 4,5, a fronte di un consumo pari a 72 miliardi di metri cubi”. Ovvero “abbiamo deciso che era meglio comprare all’estero il gas invece di utilizzare il nostro”. Eppure, stando ai numeri contenuti nel Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, le riserve ammontano a circa 90 miliardi di metri cubi, concentrate principalmente nella Pianura padana, nel mar Adriatico e in Basilicata.

 

Riserve congelate da anni, non sfruttate a causa dei veti che rendono spesso impossibili gli investimenti. Il costo? Estrarre il metano italiano costa in media 5 centesimi al metro cubo. Il gas importato – in gran parte dalla Russia di Putin – ha un prezzo di 50-70 centesimi. Certo, non è il caso di abbassare l’impegno sulle rinnovabili (che ugualmente lamentano stop burocratici incomprensibili), ma è impossibile installare gigawatt di capacità eolica e solare in poco tempo. “Nei prossimi 12-18 mesi dobbiamo muoverci anche in altre direzioni”, afferma Cingolani. “Come quella di aumentare la produzione di gas nazionale con giacimenti già aperti, per arrivare a 8/9 miliardi di metri cubi”, comunque poco rispetto ai consumi. Ancor più importante, però, è liberarsi di un estremismo ambientale buono per i cortei, meno per difendere la nostra democrazia.

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