l'intervento

Serve un archivio unico dei contratti collettivi nazionali per evitare il social dumping

Michele Faioli

Cresce senza controllo la percentuale di depositi dei contratti collettivi nazionali di lavoro: basta costituire un’organizzazione, stipulare un Ccnl al ribasso e farlo applicare a una dozzina di datori di lavoro. Così prolifera il lavoro povero. Una proposta per arginare il fenomeno

Immaginiamo che un’istituzione europea chieda al governo una fotografia dell’attuale assetto delle relazioni industriali italiane. Con buona probabilità, il ministero del Lavoro si troverebbe a fotografare una realtà simile a quella che il Cnel, insieme con l’Inps, ben conosce, monitorando continuamente l’evoluzione della contrattazione collettiva in Italia


I dati più recenti sono i seguenti. La percentuale di incremento dei depositi dei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) presso l’archivio Cnel dal 2011 (data del primo protocollo sulla misurazione della rappresentatività – giugno 2011) al 2021 è pari a circa il 170% (il numero di Ccnl vigenti - settore privato depositati al Cnel il 1° gennaio 2011 era di 347; il 19 novembre 2021 è di 933). Con riferimento alla distribuzione dei Ccnl si segnalano alcuni settori che sono particolarmente colpiti da questo fenomeno di incremento incontrollato: nel terziario compare circa il 25% del totale (235 Ccnl depositati al Cnel); a seguire il settore della sanità/assistenza privata (13%, con 121 Ccnl depositati), dei trasporti/logistica (8%, 73 Ccnl), dell’edilizia (8%, 71 Ccnl), dell’agricoltura (6%, 58 Ccnl), dei meccanici (5%, 42 Ccnl). Il numero complessivo dei Ccnl sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil a novembre 2021 è di 210. Il numero complessivo dei Ccnl utilizzati dall’Inps ai fini dei minimali contributivi (l. 89/1989), nel medesimo periodo, è di 408. Il numero complessivo dei Ccnl che non sono sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil ma da organizzazioni minori è di 723. 

 

In questo contesto prolifera ampiamente il lavoro povero perché c’è una sorta di indiretta “aziendalizzazione” della contrattazione nazionale. Cioè organizzazioni minori, datoriali e sindacali, stipulano Ccnl a basso contenuto protettivo e di costo del lavoro che sono applicati a pochi o a pochissimi datori di lavoro di una certa zona geografica del paese, che operano in certo settore. A voler seguire intenti elusivi, non c’è più bisogno di un contratto aziendale che deroghi in modo incontrollato il Ccnl: si può costituire un’organizzazione, stipulare un Ccnl al ribasso e farlo applicare a una dozzina di datori di lavoro! Tali organizzazioni sindacali e datoriali, tra l’altro, pubblicizzano senza pudore il social dumping (riduzione del costo del lavoro che si ottiene dal vincolo a quel Ccnl) e iniziano a operare a danno dei lavoratori, incidendo sulla competizione al ribasso nell’ambito salariale. Ho dimostrato in una mia ricerca, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati, quale sia il significato giuridico e sociale di questo tremendo fenomeno (M. Faioli, “Indagine sulla contrattazione collettiva dell’edilizia e sulle relative istituzioni paritetiche”, Giappichelli, 2021). 

 

E’ arrivato il momento di mettere ordine agli archivi pubblici della contrattazione collettiva per procedere nella risistemazione di un affastellamento di contratti collettivi spesso disorganico e senza collegamento interoperativo tra pubbliche amministrazioni e tra i tanti archivi pubblici di Ccnl già esistenti. Il Cnel, nel 2019, osservando le esperienze di altri paesi occidentali, aveva lanciato l’idea di un codice unico dei Ccnl, con contestuale archiviazione digitale ordinata e univoca che poteva divenire utile per tutte le pubbliche amministrazioni, e il legislatore ha colto l’occasione per attuare tale idea. L’art. 16 quater, d.l. 76/2020 (cd. decreto “semplificazioni”), dispone che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la pubblica amministrazione, sia indicato nelle comunicazioni obbligatorie di cui al d.lgs. 297/2002 e nelle trasmissioni mensili di cui al d.l. 269/2003. Tale codice viene attribuito dal Cnel, secondo criteri stabiliti d’intesa con il ministero del Lavoro e l’Inps. Tale norma è frutto dell’iniziativa legislativa del Cnel (si v. il ddl 1232/2019 – incardinato presso il Senato della Repubblica). Ieri si è tenuta al Cnel la conferenza stampa di presentazione dell’operatività di tale sistema (Circ. Inps 170/2021). L’Ispettorato nazionale del lavoro, con una serie di circolari, mettendo in rilievo ciò può derivare da una specie di shopping della contrattazione, ha cercato di definire un metodo di comparazione qualitativa e quantitativa tra istituti contrattuali per permettere, durante le verifiche aziendali, una rilevazione ragionevole delle pratiche elusive o irregolari. 


Ma ciò non basta in ogni caso: se non si dispone di una base di dati affidabile, qualunque lavoro ispettivo sulla corretta applicazione di Ccnl è contestabile. Di qui l’importanza di attuare un sistema unico, trasparente e accessibile, di deposito e codificazione dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali e datoriali, anche ai fini di una più mirata vigilanza contro la contrattazione pirata e lo sfruttamento del lavoro

 

(Michele Faioli è professore di Diritto del lavoro all'Università Cattolica e membro del Cnel)

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