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Accettare i fondi europei per liberarsi dalla zavorra della propaganda sovranista

Mariarosaria Marchesano

“Il fabbisogno dell'Italia quest’anno è stato stimato in circa 180 miliardi. 50-60 miliardi potrebbero arrivare dall’Europa attraverso Mes e Sure. Rinunciarvi vuol dire accettare di sostenere costi maggiori di finanziamento”, ci dice Giada Giani, economista di Citigroup

“Dal punto di vista politico l’Europa ha fatto un inatteso e importante passo in avanti grazie all’emergenza Covid. Un accordo come quello tra Merkel e Macron e la proposta della Commissione europea sul Recovery fund sarebbero stati impensabili fino a poco tempo fa. Se dobbiamo valutare, invece, l’efficacia della risposta fiscale alla crisi sanitaria, si registra un ritardo che potrebbe incidere sulla ripresa economica europea che, in questa fase, dipende più dalle politiche dei singoli stati. L’Italia si è mossa con tempestività e dinamismo non inferiori rispetto ad altri paesi. Resta il fatto che il rischio di instabilità politica persiste insieme con le incertezze sul ricorso agli strumenti che dovranno finanziare la ripartenza del paese”. Giada Giani, economista di Citigroup specializzata sui mercati europei, osserva l’Italia con l’occhio di chi ha vissuto gran parte della sua vita professionale a Londra, nel quartier generale europeo della banca d’investimento americana guidata da Michael Corbat, che ha riunito tutto lo stato maggiore in una web conference di due giorni per capire il futuro del mondo dopo il Covid. Più di un semplice outlook sui mercati, piuttosto il disegno di una prospettiva in cui anche gli investitori dovranno imparare a muoversi tenendo conto che il ritorno alla normalità potrebbe andare oltre i tempi previsti, come rilevano gli analisti di Citi con previsioni che arrivano al 2023. 

 

“L’Europa è il fulcro di questa prospettiva perché, a differenza di altre aree del pianeta, qui la risposta alla pandemia si snoda su due binari – continua Giani in un colloquio con Il Foglio – Il primo è nazionale e devo dire che le risposte dei paesi sono state abbastanza simili. Si può discutere della grandezza se prendiamo come esempio la Germania, ma l’Italia ha fatto uno sforzo mai visto prima mettendo in campo risorse che rappresentano cinque punti di pil, al pari grosso modo di Francia e Inghilterra. Il secondo binario è europeo e anche in questo caso la dimensione complessiva, più di 500 miliardi di euro tra Mes, intervento Bei e Sure, è ampia. Però poi di queste misure, che dovevano essere la risposta immediata alla crisi, non si è visto nulla finora e in più il percorso per arrivare al Recovery fund non sarà breve. Ma questo, mi lasci dire, non dovrebbe sorprendere più di tanto perché la costruzione europea è sempre stata lenta e, anzi, credo che se non ci fosse stata la Brexit, sarebbe stato difficile anche ipotizzare una risposta fiscale comune perché il Regno Unito probabilmente non avrebbe acconsentito”. 

 

Insomma, bisogna accettare i limiti di un’Europa che sta provando a diventare quella che finora non è stata, un’area con maggior coordinamento fiscale oltre che un’unione monetaria. In questo contesto, l’Italia, paese per il quale Citi prevede una caduta del pil quest’anno dell’8,9 per cento, maggiore di quella dell’area euro del 6,7 per cento, ma un rimbalzo nel 2021 del 6,5 per cento, si muove con la zavorra di una propaganda sovranista che vorrebbe meno Europa e non più Europa e di conseguenza chiede al governo di rinunciare, per esempio, alle risorse del Mes e di ricorrere a maggiori emissioni di btp per promuovere la ripresa. “Il fabbisogno del paese quest’anno è stato stimato in circa 180 miliardi, più del triplo rispetto al 2019, di cui 50-60 miliardi potrebbero arrivare dall’Europa attraverso Mes e Sure e non sono pochi. Rinunciarvi, anche solo in parte, vuol dire accettare di sostenere costi maggiori di finanziamento rispetto a prestiti a scadenze molto lunghe che avrebbero tassi inferiori”. 

    

Una considerazione che dovrebbe far riflettere alla vigilia del lancio sul mercato del btp Futura, con rendimenti crescenti che rendono lo strumento appetibile per gli investitori ma sicuramente più oneroso per le casse pubbliche. Ma finché non verranno superate le resistenze sul fondo salva stati, punto sul quale l’economista di Citi si dice ottimista, è alle emissioni di bond che il governo continuerà a ricorrere anche per promuovere il rilancio economico che, secondo Giani, in Italia presenta un ulteriore punto critico che non viene rilevato in altri paesi: la difficoltà di trasmettere la liquidità dalle banche all’economia reale. “Capisco che ci sia tutta una serie di intoppi legate alle procedure, ma in Francia e Spagna, per esempio, le imprese hanno già sfruttato molto la capacità del sistema del credito di erogare prestiti, quando non sono stati possibili contributi diretti. In Italia, invece, si sono sbloccati solo i finanziamenti di piccola taglia e coperti al 100 per cento dalla garanzia dello stato. Per quelli che transitano attraverso Sace o che hanno coperture limitate ci sono gravi ritardi”. Da che dipende, secondo lei? “Mi pare ci sia un problema di fiducia da parte del sistema bancario, su questo bisognerebbe riflettere”.