(foto LaPresse)

Da Arcuri a Fioramonti. Fissare i prezzi? Solo un boomerang

Sandro Brusco*

Perché un sistema generalizzato di controllo di prezzi e salari in una situazione emergenziale non funziona ed è controproducente

La pandemia sembra aver causato, oltre a un deterioramento della sanità pubblica e una crisi economica senza precedenti, un peggioramento nel dibattito di politica economica. Non ce n’era bisogno, dati i livelli bassi da cui si partiva. Ma qui siamo e oggi ci occuperemo di una questione che sembra andare per la maggiore: è giusto fissare i prezzi per legge?Tutto è iniziato con l’ormai famoso provvedimento sulle “mascherine a 50 centesimi” che il commissario Arcuri ha difeso contro “liberisti da divano” e lettori di Manzoni.Poi la faccenda ha preso vita propria, fino alle dichiarazioni dell’ex ministro Fioramonti che ha chiesto un ritorno al passato (più concretamente, al 31 dicembre 2019) per tutti i prezzi, non solo le mascherine.

 

Proviamo a volare più alto della polemica. Si può argomentare che un’economia pianificata può essere opportuna in fasi di emergenza? Sì, è possibile. Per esempio gli Stati Uniti istituirono un sistema di pianificazione, che comprendeva sia controllo di prezzi e salari sia indirizzo pubblico di gran parte della produzione, durante la seconda guerra mondiale. Le emergenze sono momenti in cui l’efficacia (assicurarsi che il fine venga raggiunto) è più importante della efficienza (assicurarsi che il fine venga raggiunto senza eccessivo spreco di risorse). In quel caso era importante che la produzione sostenesse lo sforzo bellico. Al termine dell’emergenza il sistema venne smantellato. Quando si impone un sistema del genere si devono controllare sia i prezzi dei prodotti finali sia i prezzi dei fattori di produzione, a cominciare dai salari. Farlo a metà, ignorando il lato dei costi, produce enormi problemi, dato che nessuna impresa privata desidera produrre in perdita. Si può cercare di risolvere il problema mediante sussidi: il settore pubblico paga una parte sufficiente dei costi, oppure paga un sussidio addizionale per ogni unità venduta. Tutte cose che, per funzionare bene, richiedono un’enorme ed efficiente burocrazia. Cose, inoltre, che possono solo essere temporanee. E che, mi sia consentita la battuta polemica, sarebbero state molto più semplici se negli ultimi venti anni i vari governi avessero lavorato alla riduzione del debito anziché operare attivamente per la sua continua crescita.

 

Ha senso istituire un sistema generalizzato di controllo di prezzi e salari in questa situazione emergenziale? Chiaramente no. Anche se da più parti si usano metafore belliche per descrivere la situazione attuale, il problema è molto diverso. Non è necessario riconvertire l’intera economia perché produca più cannoni, carri armati e razioni K per soldati. Sono sufficienti interventi mirati (che devono sicuramente essere massicci e adeguati, ma ben lontani da una riconversione totale dell’economia) in campo sanitario. E’ un giusto obiettivo quello di assicurarsi che tutti abbiano la possibilità di comprare mascherine, ma questo risultato non si raggiunge semplicemente imponendo un prezzo massimo di vendita. Si raggiunge sussidiando la produzione e l’importazione, se necessario, e organizzando la distribuzione costante e capillare. Tutte cose che attualmente sono mancate. In assenza di questi interventi sui costi di produzione e distribuzione, il rischio molto concreto è che il prezzo imposto causi una forte riduzione dell’offerta. In termini più spicci, si rischia che le mascherine non si trovino più.

 

E gli altri prezzi, dai ceci (così facciamo contento Zerocalcare) al baccalà (così faccio contenta mia madre)? Meglio lasciarli stare. Gli interventi che vanno fatti da quel punto di vista riguardano il sostegno temporaneo dei redditi. Come aveva ben spiegato Draghi nell’articolo che ha pubblicato qualche settimana fa sul Financial Times questo è un momento eccezionale e occorre intervenire in modo rapido e massiccio, sia con garanzie sui prestiti sia con sussidi a fondo perduto, per evitare la chiusura e scomparsa di migliaia di imprese e per aiutare le persone che restano senza lavoro o comunque con forti riduzioni del reddito. Imporre, in aggiunta, un regime di prezzi fissi o amministrati creerebbe solo problemi, aggiungendo all’attuale crollo dell’attività economica forzato dalle misure per il mantenimento della salute pubblica un ulteriore fenomeno di cattiva allocazione delle risorse e ulteriore riduzione dell’offerta.

 

Lasciamo perdere queste sciocchezze. Lasciamo anche per il dopo le discussioni su nuovi modelli di sviluppo o altre cose del genere. Nelle emergenze la rapidità è tutto. Lo stato faccia quello che deve fare in una emergenza sanitaria. Per il resto ci sarà tempo per discutere a emergenza finita. 

 

*Sandro Brusco è docente alla Stony Brook University