Il metodo radicale

Igor Boni

Un esempio virtuoso su come riportare in vita un’azienda partecipata, ormai moribonda

Tra molteplici notizie pessime riguardo le famigerate “società partecipate”, accusate – spesso a ragione – di essere bacini clientelari e di favori ad amici e amici degli amici, voglio raccontare una vicenda completamente diversa. L’Istituto per le piante da legno e l’ambiente di Torino (Ipla SpA), nato nel 1979 con il compito di rilevare i dati ambientali e territoriali per conto della Regione Piemonte (foreste, suoli, biodiversità, gestione aree protette, verifica misure ambientali del Programma di sviluppo rurale, cambiamenti climatici, lotta a patogeni e rifiuti), ha subìto nel 2011 e nel 2012 gravissime perdite di bilancio. Nel 2013 e fino ai primi mesi del 2014, tutti i 54 dipendenti sono finiti in cassa integrazione in deroga; era un caso quasi unico in Italia di una società partecipata che utilizzava ammortizzatori sociali come questo. Io lavoro in Ipla dal 1994 come ricercatore che si occupa del rilevamento e dello studio dei suoli e per molti anni ho guidato una Unità operativa dell’istituto. Con tutti i miei colleghi ho fatto i miei 15 mesi di cassa integrazione, senza riuscire a spiegare a chi governava la Regione che si poteva anche modificare la ragione sociale e riformare la società ma sarebbe stato impossibile fare a meno del lavoro che svolgevamo.

 

Nel 2014 Sergio Chiamparino ha pensato di provare a dare la responsabilità della guida dell’Azienda a un dipendente, il sottoscritto. Io che sono laureato in Scienze forestali e che a quell’epoca non sapevo nemmeno cosa fosse una partita doppia o un bilancio.

 

Le prime cose che ho fatto sono state studiare giorno e notte per riuscire a capire il funzionamento della macchina e costruire una squadra che potesse aiutarmi nell’impresa. Ho attinto a piene mani dalla mia esperienza politica radicale, sia per dirmi che non era impossibile farcela se ce l’avessi messa tutta, sia per trovare le strade giuridiche possibili, anche quelle che non erano mai state immaginate o utilizzate.

 

Ci tengo a riassumere oltre 5 anni di lavoro che hanno cambiato la storia, portando Ipla a essere una società risanata, con i conti e i bilanci in ordine, che opera per conto della Regione Piemonte ma ora anche con clienti esterni alla proprietà, pubblici e privati e su fondi europei.

 

Prima di tutto abbiamo (il plurale non è casuale, da solo non avrei fatto nulla) ridotto i costi: quasi dimezzati quelli generali, tagliati del 20 per cento quelli del personale, tramite incentivi all’esodo e licenziamenti con relativo accordo sindacale. Abbiamo anche ridotto i costi dell’organo amministrativo a meno della metà e, ci tengo a sottolinearlo, abbiamo ridotto i rimborsi personali dell’A.U. di oltre il 90 per cento rispetto alle precedenti gestioni e quasi azzerate le spese di rappresentanza.

 

Abbiamo riammodernato tutto: dal sito istituzionale, al parco auto, al manuale delle procedure interne; dall’organigramma, riducendo il numero dei ruoli di responsabilità, al rispetto delle norme sulla privacy e quelle sulla sicurezza. Come previsto dalla legge sono stati redatti e consegnati a tutti il “Codice di comportamento dei dipendenti” e il “Piano triennale anticorruzione e per la trasparenza”. A proposito della trasparenza, fino ad allora mai considerata, oggi l’Ipla è un esempio per altre società partecipate piemontesi e non solo, perché sul nostro sito c’è sostanzialmente tutto: bilanci, compensi, incarichi, curriculum, delibere, fino ai miei rimborsi personali, mese per mese, dettagliati per tipologia. Come antidoto alle crisi future abbiamo cercato di far conoscere ai cittadini quel che facciamo. Con questo spirito abbiamo organizzato numerosi eventi “porte aperte” facendo entrare nei nostri uffici e nella nostra sede migliaia di persone. Risultati che sono stati possibili grazie anche al buon rapporto con i rappresentanti sindacali che ci hanno consentito di firmare due contratti integrativi, inserendo maggiore flessibilità, il cosiddetto “lavoro agile”, nonché un sistema premiante basato sulla puntualità di consegna dei progetti e sui bilanci in ordine.

 

Come si dice “il macellaio non parla mai male della propria carne”, eppure sono i numeri a parlare al posto nostro: è stato ridotto di centinaia di migliaia di euro il debito complessivo verso i fornitori e al contempo sono stati ridotti i crediti, riuscendo a recuperare risorse e riducendo le esposizioni con le banche. Abbiamo ottenuto dalla società di revisione incaricata la clean opinion sui bilanci che sono stati chiusi in attivo, sei anni su sei, con l’ultimo che ammonta a oltre 300 mila euro di utili, fondamentali per ricostituire il patrimonio netto eroso dalle passate perdite. Non abbiamo solo salvato i nostri posti di lavoro ma abbiamo garantito alla Regione e alla collettività lavori e progetti che consentono di rispondere alle normative europee e nazionali con tempestività. Questi risultati stato stati ottenuti senza una segreteria dedicata, senza un ufficio stampa, senza un gestore esterno delle pagine social, senza collaboratori affiancati all’Amministratore unico, senza nessuno di noi inquadrato come dirigente.

 

Tra pochi giorni lascerò il mio incarico – mi sono dimesso – e tornerò a svolgere il mio ruolo tecnico, lasciando a chi verrà un’azienda che era un malato terminale e che oggi è, per molti versi, un esempio da seguire. Senza il metodo e la prassi radicali, tutto questo non sarebbe stato possibile.