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Anche Ikea vittima del grande bluff di Bio-on. Urge una riforma dell'Aim in Borsa

Mariarosaria Marchesano

Il caso della trattativa tra la società bolognese e la multinazionale dell'arredamento, venduta come conclusa pur essendo stata sospesa

Milano. C’è anche una trattativa con Ikea – del valore di 55 milioni di euro e finora coperta da riservatezza – tra le circostanze di maggior rilievo che il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, Alberto Ziroldi, ha individuato per inquadrare il profilo di Marco Astorri, il patron della società bolognese di bioplastiche Bio-on finito agli arresti per false comunicazioni sociali e manipolazione del mercato. Non perché la trattativa con la multinazionale svedese sia stata rilevante per decidere la custodia cautelare – ma perchè è apparsa agli occhi degli inquirenti emblematica di come Astorri abbia gestito la comunicazione di una delle società più gettonate dell’Aim, il listino delle piccole aziende di Borsa italiana che si trova sotto pressione da quando è scoppiato il caso giudiziario. Nell’ordinanza viene, infatti, osservato che “l’informazione rilasciata da Bio-on dava come sottoscritto il contratto, che, invece, si trovava in fase di trattativa, poi sospesa, con Ikea” per la fornitura di una “rivoluzionaria bioplastica ottenuta da lavorazioni agroindustriali”. Se anche si escludessero tutti gli altri motivi che hanno fatto scoppiare il caso Bio-on – e cioè le operazioni fittizie, le informazioni omesse al mercato, i conti non veritieri messi in evidenza dal fondo americano Quintessential – basterebbe la trattativa con l’Ikea che non si è mai conclusa, ma venduta come tale, per porsi qualche domanda su come funzioni l’Aim Italia, che rappresenta il 33 per cento di Piazza Affari per numero di società quotate (128 in tutto) e che negli ultimi anni ha registrato un vero boom anche grazie anche ai Pir, i Piani individuali di risparmio. E questo è in prospettiva un punto importante.

 

Il governo Pd-M5s, si accinge a modificare la riforma dei Pir attuata dal precedente esecutivo Lega-M5s, che non solo ha innalzato la percentuale di risorse raccolte da destinare proprio all’Aim, ma ha imposto ai gestori dei fondi una quota minima (3,5 per cento) da investire sulle start up tecnologiche, società che sono ancora più ad alto rischio. Tale riforma, che secondo gli addetti ai lavori presenta vistose imprecisioni tecniche oltre che forzare la mano alle famiglie italiane più propense a un profilo di rischio medio-basso, ha fatto praticamente crollare la raccolta nell’ultimo anno. Così, Palazzo Chigi vorrebbe tornare alla stesura originale oppure trovare una nuova formula. In attesa di questa contro riforma, la neonata AssoAim, l’associazione che punta a coinvolgere emittenti, istituzioni, advisor e professionisti attivi sul listino, si propone come interlocutore offrendo il suo contributo tecnico per evitare gli errori del passato. La conferenza stampa di presentazione di AssoAim, ieri a Milano, è stata presa d’assalto da stampa e operatori di mercato alla ricerca di una spiegazione sul caso Bio-on. Ma questo ha poco senso perché è come se nel 2002-2003, quando sono scoppiati gli scandali Cirio e Parmalat – fosse stato messo sotto processo l’Mta, che è il listino principale di Piazza Affari dove le società di Sergio Cragnotti e Callisto Tanzi erano quotate. La critica principale che viene rivolta all’Aim – quella di essere un mercato non regolamentato e per questo poco adatto a un pubblico di investitori retail - viene contestata dall’AssoAim, che sottolinea come le normative sul market abuse, sui poteri di controllo dell’Autorità di vigilanza, sulla trasparenza delle informazioni e sulla disciplina delle parti correlate vengono applicate ugualmente. L’unica vera differenza è nelle procedure più snelle per accedere alla quotazione. “Fino al 2017 l’Aim era appannaggio di un club deal di investitori di tipo istituzionale, poi sono arrivati i Pir che, attenzione, hanno portato solo 300 milioni su 14 miliardi di raccolta. Per questo il precedente governo ha tentato di incrementare – racconta al Foglio Giovanni Natali, veterano dell’Aim e uno dei promotori dell’associazione – Ma non possiamo nasconderci dietro un dito: per un piccolo risparmiatore investire sulle società dell’Aim è più rischioso rispetto a una blue chip. Perciò sarebbe utile individuare meccanismi legislativi che tengano conto di questo”. Natali è stato anche l’advisor che ha portato in Borsa Bio-on nel 2014. “All’epoca era una start up promettente con un fatturato di 1,4 milioni basato su una produzione certificata da esperti. Il nostro rapporto si è chiuso con l’Ipo, ma anche a me era sembrato strano che fosse cresciuta in Borsa così tanto in pochi anni”.

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