Cina, demolizione di ciminiera di centrale elettrica (LaPresse)

Emissioni addio, ma è una parola

Chicco Testa

È grande la confusione sotto il cielo delle politiche ambientali. India e Cina non sono molto disposte ad ascoltare le prediche occidentali. La strada che porta a un’economia decarbonizzata è fatta di innovazione tecnologica

Immaginate di essere un discreto scalatore. Vi siete inerpicati su una parete piuttosto impegnativa e avete calcolato che, diciamo verso le 4 del pomeriggio, dovreste iniziare la discesa, avendo a disposizione un paio d’ore, il tempo che vi serve, prima che scenda il buio rendendovi il ritorno praticamente impossibile. Le 4 sono arrivate ma voi continuate a salire. Si fanno le 4.30 e già siete fuori orario. Dovrete scendere molto più velocemente, prendendovi dei rischi grossi. Ma invece continuate a salire, a salire, fino a quando non c’è più possibilità di tornare a valle e restati bloccati in parete. La stessa cosa sta succedendo con le emissioni in atmosfera di gas serra.

  

I governi di una parte del mondo (non tutti) si pongono obbiettivi sempre più ambiziosi, che si spingono a richiedere una riduzione delle emissioni del 50 per cento nel 2040 e la neutralità, cioè emissioni zero, nel 2050. Ma sono obbiettivi perseguibili o solo manifestazioni di buona volontà ad usum opinione pubblica? E’ da vari anni che va così. Come un atleta del salto in alto l’asticella viene messa sempre più su. Solo che l’atleta salta sempre più in basso, coprendosi di ridicolo. Nel 2018 le emissioni di CO2 hanno raggiunto il loro picco storico e non sembrano fermarsi. Unica area virtuosa con una discreta riduzione è l’Europa. Gli Stati Uniti dopo una fase di riduzione coincidente con la parziale sostituzione del carbone con il gas grazie alle nuove tecniche estrattive, contestate dagli ambientalisti, che hanno reso gli Usa i principali produttori di gas al mondo, hanno ricominciato a crescere, complice il buono stato dell’economia. Ma il problema principale è rappresentato dalle economie asiatiche, Cina e India in primo luogo, le cui emissioni non si fermano. La Cina è diventata rapidamente il primo produttore al mondo di CO2.

  

Con però due caveat, molto importanti. Perché se è ovvio che paesi con più di un miliardo di persone ed economie in rapida industrializzazione pesino molto è meno ovvio un altro fatto. La loro produzione pro capite di CO2 è ancora largamente inferiore nel caso della Cina rispetto a quella degli Stati Uniti (sono invece pari a quelle dell’Unione europea) e nel caso dell’India a quelle di tutto il resto del mondo in maniera molto larga. E siccome esiste un rapporto diretto fra pil pro capite e CO2 pro capite non credo che i cinesi vogliano autopenalizzarsi. Se poi si guarda non alla produzione annuale, ma allo stock di CO2 accumulata in atmosfera, questa distanza di Cina e India dal mondo industrializzato è ancora più evidente. Ragion per cui questi paesi non sono molto disposti ad ascoltare le prediche occidentali. Riconoscono la necessità di decarbonizzare, ma lo fanno con il loro passo e a modo loro. Prima di tutto avendo come obbiettivo quello di dotare le loro popolazioni di una sufficiente disponibilità di energia. Tenendo conto che nel mondo c’è sempre un miliardo di persone che ne sono praticamente prive.

  

Risultato: dal 1990, anno in cui i problemi legati all’effetto serra sono divenuti degni di attenzione, a oggi abbiamo immesso in atmosfera una quantità di gas serra pari a quella totale immessa in tutte le epoche precedenti. Conseguenza: la curva necessaria di decrescita della CO2, secondo le stime Ipcc, diviene ogni anno sempre più ripida e impraticabile dal momento che il tempo si accorcia e il picco da cui partire si alza. Come il nostro alpinista che in vista del tramonto anziché iniziare la discesa continua a salire. Fra l’altro numerosi studi che prendono in considerazioni diverse variabili affermano che siamo ben lontani dall’avere raggiunto il picco delle emissioni. Che esso si collocherà piuttosto, fondamentalmente a causa dell’aumento continuo della richiesta di energia, nel decennio fra il 2030 e il 2040 (!). Situazione ben lontana, anzi all’opposto, da quel 40 per cento di riduzione prevista dagli accordi internazionali per il 2040. D’altra parte tutti gli accordi internazionali fin qui stipulati non hanno prodotto alcun risultato. Zero. Anzi è successo esattamente il contrario. Siamo di fronte a un fallimento totale.

  

Ora è sempre possibile che si presenti sulla scena qualche radicale innovazione tecnologica in grado di cambiare il corso delle cose, ma l’impresa appare onestamente disperata. Basterebbe forse riuscire a fermare o almeno rallentare il continuo incremento affrontando le cose con pragmatismo e con politiche efficaci. Tenendo conto di una cosa che potrebbe convincere anche un po’ di scettici. Decarbonizzare significa non solo ridurre la quantità di gas climalteranti, ma anche dare una bella ripulita alla qualità dell’aria. Le due cose sono associate. Infatti sono stati già raggiunti risultati spettacolari nel passato nelle aree metropolitane europee. Vedi il caso di Londra, ma anche quelli di Milano e Torino dove dal 1970 a oggi i livelli di inquinamento dell’aria metropolitana sono scesi fino al 90 per cento. E per ultimo ma altrettanto importante Pechino, che è tornata a vedere un po’ di cielo blu.

  

E’ evidente che non si fanno invece passi in avanti se di fronte a questa situazione anziché esaminarla con realismo, ivi compresa qualche domanda sul pressoché totale fallimento delle politiche adottate finora, si continua invece a battere sul tasto del catastrofismo più assoluto. E a richiedere, come fa la maggior parte delle associazioni ambientaliste, target sempre più alti, incuranti della storia e dell’esperienza.

  

Negli ultimi trent’anni il contributo dei combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) è rimasto percentualmente praticamente costante sia sul totale dell’energia consumata sia su quella elettrica. In percentuale. Perché se poi andiamo a vedere le quantità assolute, troviamo cifre in crescita impressionante

La strada verso un’economia decarbonizzata è fatta invece di innovazione tecnologica, di scelte mirate e soprattutto di un’analisi d’efficacia delle misure prese. Un altro grande errore che a mio parere è stato fatto è quello di confondere i mezzi con i fini. Una politica ragionevole dovrebbe porsi innanzitutto una domanda. Quali sono le misure migliori e meno costose per ridurre la CO2? E di tanto in tanto fare il bilancio di quanto fatto in termini di effettiva efficacia. Sotto il cielo delle politiche ambientali vi è invece una grande confusione. Strumenti fiscali, tecnologie sexy, proibizioni, campagne placebo, buone a tranquillizzare le nostre coscienze, ma senza costrutto: tutto si assomma e ogni comparto economico preme per conquistare uno spazio nel futuro aumento della spesa pubblica e degli incentivi o per colpire il concorrente nel mercato.

  

Partiamo intatto da un fatto. L’Europa pesa per il 10 per cento delle emissioni totali di CO2. In progressiva riduzione visto il crescere impetuoso delle economia asiatiche (e anche di quella americana). Per quanti sforzi faccia non sarà lei a cambiare le sorti del mondo. Ogni punto di riduzione delle missioni europee pesa per solo lo 0,1 per cento sul totale mondiale. E peserà sempre meno in futuro.

 

Proviamo a esaminare alcune delle ricette più propagandate. L’auto elettrica per esempio, che fa dire a qualche entusiasta che siamo alla fine dell’èra del petrolio. L’Aie (Agenzia internazionale dell’energia) ha provato ad esaminare alcuni scenari di penetrazione piuttosto massiccia dell’auto elettrica.

 

Ciononostante i consumi di petrolio, che hanno sfondato il tetto dei 100 milioni di barili al giorno continueranno a crescere fino a oltre i 120 milioni di barili giorno, guidati non dai consumi della automobili, ma da quelli del trasporto navale, da quello areo, dal trasporto stradale di merci e dal settore petrolchimico. Avanti quindi con le auto elettriche, ma scordiamoci che siano la killer application del petrolio. Poi naturalmente c’è Beppe Grillo che sogna i camion a idrogeno, ma quella è tutta un’altra storia. Forse sarebbe invece la pena di riflettere seriamente su uno straordinario incremento di un altro trasporto elettrico: quello pubblico. Treni, metropolitane, tranvie e people mover sono in grado di ridurre la CO2, spostando passeggeri in maniera consistente dai mezzi alimentati con combustibili fossili.

 

Il settore energetico è ancora più interessante. Negli ultimi trent’anni il contributo dei combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) è rimasto percentualmente praticamente costante sia sul totale dell’energia consumata sia su quella elettrica. In percentuale. Perché se poi andiamo a vedere le quantità assolute di ogni singolo combustibile, visto che la domanda di energia è continuata a crescere, troviamo cifre in crescita impressionante. Ma le fonti rinnovabili, che pure sono cresciute in maniera massiccia? La loro penetrazione nel settore elettrico comincia a essere significativa. Meno sul totale dell’energia consumata. Sostanzialmente le rinnovabili hanno sostituito una parte dell’energia prodotta con il nucleare, l’unica altra fonte energetica completamente priva di emissioni. Un gioco a somma zero. L’avversione del mondo ambientalista per l’energia nucleare la dice lunga sui tic e le preclusioni irrazionali. L’energia nucleare è pericolosa? Diciamo di sì. E’ costosa? Diciamo di sì. E quindi? Niente se confrontata con la catastrofe assoluta che secondo la vulgata ambientalista ci aspetta dietro l’angolo. Città costiere sommerse, inaridimento di metà del pianeta, scomparsa dei ghiacciai, tornado e uragani a tutto spiano. Diciamo che ogni mezzo dovrebbe essere usato per questa battaglia epocale. Invece no e a mano a mano la produzione nucleare si riduce, soprattutto in Europa, le rinnovabili non fanno altro che tappare i buchi lasciati dall’energia nucleare. Un famoso scienziato americano mi disse qualche anno fa che questa era la prova evidente che nemmeno gli ambientalisti credono alle loro profezie. E infatti i cinesi mentre mettono in campo enormi investimenti nelle rinnovabili hanno in costruzione anche 13 nuove centrali nucleari con le quali hanno ridotto i loro investimenti nel carbone.

  

Le rinnovabili hanno sostituito una parte dell’energia prodotta con il nucleare, l’unica altra fonte energetica completamente priva di emissioni. Un gioco a somma zero. L’avversione del mondo ambientalista per l’energia nucleare la dice lunga sui tic e le preclusioni irrazionali

Parliamo infine di fiscalità ambientale. Sembra una novità per l’Italia, ma se si sommano insieme gli incentivi pagati in bolletta per le rinnovabili, 14-15 miliardi all’anno, e le accise pagate sui carburanti per autotrazione (25 miliardi di euro nel 2017) già siamo a 40 miliardi. La quarta entrata fiscale dello stato italiano e la tassazione fra le più alte d’Europa. A cui si aggiungono numerose altra gabelle che pesano complessivamente il 3,5 per cento del pil con oltre 70 miliardi di gettito. Poi c’è un secondo problema. Queste imposte hanno carattere regressivo. Pesano in misura proporzionalmente maggiore sulle categorie con i redditi più bassi. Come si è visto nella protesta dei gilet gialli francesi. Se vogliamo trovare un modo per rendere antipatica la protezione dell’ambiente questa è la strada giusta. Aumentare le tasse sui carburanti per agricoltori e autotrasportatori è la via più dritta per riempire le piazze e spianare la strada ai populisti. In realtà chi ha formulato in dottrina l’opportunità di una fiscalità ambientale lo ha sempre fatto ipotizzando parità di gettito. Più tasse sull’ambiente, ma meno tasse su altri fattori della produzione quali capitale e lavoro. Con il doppio obbiettivo di preservare l’ambiente e stimolare l’economia. Miglior risultato infatti hanno prodotto sgravi automatici (crediti d’imposta) legati a ristrutturazioni edilizie e investimenti per migliorare l’efficienza energetica. Delle merendine inutile parlare.

  

Se l’obbiettivo fosse la riduzione della CO2 al minor costo possibile e in modo massiccio, tutti gli investimenti andrebbero fatti in Cina e in India, finanziando progetti nella riduzione della CO2 per esempio migliorando il rendimento degli impianti di produzione di energia e pagando così il debito che abbiamo maturato nei confronti di quei paesi occupando con le nostre emissioni l’atmosfera. Ma ve lo vedete l’occidente trasferire miliardi di euro e di dollari alla Cina e all’India? E allora facciamola finita con le ipocrisie. Convivremo con gli aumenti di temperatura, sperando che dalla lampada di Aladino spunti una soluzione efficace.

  

Al discorso di Greta all’Onu preferisco di gran lunga quello fatto da Obama a un gruppo di giovani americani. “Con tutte le sfide… tutti i problemi, se aveste potuto scegliere un qualsiasi momento nella storia dell’umanità in cui nascere, senza sapere quale sarebbe stata la vostra posizione e chi sareste stati, avreste dovuto scegliere questo. Il mondo è meno violento di quanto lo sia mai stato. Più salubre che mai. Più tollerante di quanto lo sia mai stato. Meglio nutrito che mai. Più istruito che mai. Cose terribili succedono ogni giorno in giro per il mondo, ma le linee di tendenza del progresso sono evidenti” (giugno 2014).