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Catalogo minimo del bestiario ambientalista. Quel che sembra verde ma non è

Maurizio Stefanini

L’abolizione dell’olio di palma, l’abiura del nucleare, il fanatismo per l’auto elettrica e il veganesimo portano più danni che benefici

Roma. Tra Greta sì e Greta no si finisce spesso per perdere di vista la realtà. Su come ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente alcuni punti non sono affatto scontati. Gli equivoci verdi sono molti. Anzi alcune bandiere degli ambientalisti non sono d’aiuto all’ambiente. Eccone alcune.

 

L’olio di palma. “Non contiene olio di palma”, è ormai una pubblicità ricorrente. Attenzione che il suo significato spesso potrebbe essere: “E quindi contribuisce a una maggior deforestazione”. Intendiamoci: è vero che l’olio di palma è oggi una delle principali cause di distruzione delle foreste in Asia. Ma l’olio di oliva dà solo il 2,3 per cento del fabbisogno mondiale, e si stima che per coprire il crescente fabbisogno mondiale di olio basterebbero 8,2 milioni di ettari di palma usando i metodi attuali, riducibili a 5 con sistemi più efficienti. Per coprire lo stesso fabbisogno con olio di soia ci vorrebbero invece 62,5 milioni di ettari, e con olio di colza 43,3 milioni. In più l’olio di palma è l’unico che come quello di oliva è estraibile a freddo, con minore impiego di energia e di agenti chimici. Dunque, a parità di controlli e certificazioni sarebbe più ecologico. Per questo quando Ségolène Royal prese di petto l’olio di palma nella Nutella scesero in campo a difenderla Greenpeace e Wwf.

  

La soia. Una delle principali cause di deforestazione in Amazzonia è invece la soia, soprattutto per nutrire animali da allevamento. Ma diventare vegetariani o vegani non è che cambierebbe molto, se si utilizza come fonte di proteine la stessa soia. Alcuni studi sulla sostenibilità della carne valutano invece che l’emissione di CO2 per consumo pro capite in un modello di dieta equilibrata “mediterranea” non è particolarmente più forte di quello per frutta e ortaggi: da 6,7 a 6. Usare più soia farebbe saltare l’equilibrio.

 

Il gas animale. Una gran parte dell’emissione dovuta all’allevamento non si deve alla deforestazione, ma al fatto che un ruminante medio ogni giorno emette dall’apparato digerente tra i 250 e i 500 litri di gas metano, e il metano contribuisce all’effetto serra 25 volte più della CO2. Il 14 per cento di tutta l’emissione di gas serra derivante da attività umana. Il 3 per cento deriva però dai microbi del rumine, e l’istituto di ricerche agricole neo-zelandese AgResearch sta sperimentando un vaccino in grado di ridurne l’impatto. Sulla selezione genetica degli animali stanno invece lavorando in Scozia, dove assicurano di essere riusciti a ridurre l’impronta ambientale della produzione di latte e carne di almeno un quinto. E un altro 15 per cento di riduzione secondo la University of California potrebbe ottenersi semplicemente cambiando la dieta.

 

Il gas non animale. A livello mondiale, comunque, la superficie forestale complessiva aumenta, malgrado gli arretramenti nelle aree tropicali. Le foreste italiane, in particolare, sono cresciute del 72,6 per cento tra 1936 e 2015, arrivando a coprire il 36,4 per cento della superficie nazionale. Ciò grazie all’urbanizzazione, che ha ridotto la pressione umana sui territori marginali, e grazie alla diffusione del gas per cucinare e scaldarsi al posto della legna. Insomma: grazie al progresso.

  

L’auto elettrica. Un rapporto dell’Internatrional Council on Clean Transoportation spiegò che i paesi dove le batterie per auto sono prodotte finiscono per avere un livello di emissione di CO2 più alto. Uno studio sulla Cina mostrò che l’emissione calerebbe del 66 per cento durante il funzionamento della vettura, ma aumenterebbe del 60 per cento durante la produzione. Uno studio tedesco calcolò che tenendo conto della matrice energetica locale le auto elettriche in Germania finivano per comportare emissioni maggiori. Uno studio britannico rilevava una maggiore emissione dagli pneumatici per via del peso delle batterie. Il futuro è sicuramente dell’auto elettrica, ma in questa fase di transizione alla sua “ecologicità” dipende dal modo in cui l’elettricità è prodotta nel paese in cui circolano.

 

Il nucleare. Geografo e ambientalista tra i più noti, nel suo ultimo libro “Upheaval: How Nations Cope with Crisis and Change” Jared Diamond è tornato a dire che l’umanità avrebbe bisogno di ridurre la sua produzione di energia fossile, e ha indicato tra le energie “rinnovabili” da mettere in campo non solo eolico e solare, ma anche il nucleare. Nel riconoscere il timore che il nucleare suscita ha però osservato che in realtà dal 1945 in poi ci sono stati solo due incidenti in centrali nucleari che hanno provocato vittime: Chernobyl e Fukushima. La Francia continua a ricavarne la maggior parte del fabbisogno – e un po’ ne cede anche all’Italia, che al nucleare ha rinunciato. E lo stesso vale per Corea del sud, Finlandia e Taiwan. Diamond sostiene dunque che bisognerebbe contrapporre la “possibilità” di un incidente a un reattore nucleare alla “certezza” di milioni di morti che senza nucleare saranno sicuramente provocate da combustibili fossili.

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