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Lezioni dalla vicenda Tav

Giacinto della Cananea

L'annuncio di Conte rende giustizia a quanti hanno avuto responsabilità di governo in passato e, dall’altro lato, ci spinge a rafforzare la capacità delle nostre istituzioni di realizzare gli impegni assunti con i cittadini e con i partner europei

L’annuncio, da parte del presidente del Consiglio dei ministri, che il governo italiano confermerà all’Agenzia europea per l’innovazione e le reti l’impegno a realizzare la ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione ha avuto un notevole risalto. Ma si è guardato più alle conseguenze politiche che a quelle istituzionali. Inoltre, vi è stata scarsa attenzione per le motivazioni della decisione annunciata, mentre esse sono importanti, in sé e per la lezione più generale che se ne può trarre per l’azione di governo.

 

La prima motivazione esposta da Conte (che pure in passato si è espresso a sfavore dell’opera) a favore della conferma degli impegni assunti in Europa è ineccepibile: se anche il governo italiano si fosse schierato in modo compatto a sostegno della ridefinizione del progetto o della sua cancellazione (e ciò non è accaduto), non vi era l’indispensabile consenso da parte della Francia e dell’Unione europea ed esse avrebbero senz’altro reagito a un’iniziativa unilaterale. E’ bene ricordare che, mentre tra gli economisti e in una parte della stampa di opinione vi è varietà di vedute sull’opportunità di proseguire i lavori per la nuova infrastruttura ferroviaria, sul piano giuridico è assodato che la loro continuazione è semplicemente doverosa. Lo è perché l’Italia ha aderito alla convenzione quadro del 1991 sulla salvaguardia dell’area alpina e al protocollo specifico sui trasporti, in cui è enunciato l’obiettivo di trasferire sulle ferrovie una quota crescente delle merci. Lo è perché, coerentemente con quell’obiettivo, sono stati stipulati vari accordi con la Francia, in particolare nel 2012 e nel 2016, per realizzare la ferrovia ad alta velocità che attraverserà le Alpi, e vi è stata data ratifica ed esecuzione con altrettante leggi nel 2014 e nel 2017. Trasgredire quegli accordi o denunciarli unilateralmente comporterebbe pertanto la responsabilità del nostro paese, con notevoli costi. Il presidente del Consiglio ha anche sottolineato il fatto nuovo della disponibilità manifestata dalla Commissione a elevare il contributo dell’Ue, con la conseguente riduzione dell’impegno finanziario per l’Italia. Sotto entrambi i profili, non si può che essere d’accordo: proseguire la realizzazione dell’opera è la scelta migliore dal punto di vista dell’interesse nazionale.

 

Detto ciò, vi è una lezione più generale da trarre da questa vicenda. Si tratta, da un lato, di rendere giustizia a quanti hanno avuto responsabilità di governo pochi anni or sono e, dall’altro lato, di rafforzare la capacità delle nostre istituzioni di realizzare gli impegni assunti con i cittadini e con i partner europei. Negli scorsi anni, coloro che governavano sono stati sovente descritti – dalle forze che allora erano all’opposizione e da alcuni commentatori – di aver rinunciato alla sovranità nazionale, a tutto vantaggio delle sedi europee e internazionali. Era un’accusa infondata, oltre che ingenerosa. La verità è che, nel mondo in cui viviamo, contraddistinto dall’interdipendenza, l’unico modo in cui uno stato – con pochissime eccezioni – può davvero esercitare la propria sovranità consiste nel tutelare al meglio i propri interessi all’interno dei vari organismi europei e internazionali, pena l’irrilevanza. Purtroppo, una parte dei nostri attuali governanti ne ha acquisito consapevolezza molto tardivamente. Occorre evitare, adesso, di perseverare nell’errore.

 

Bisogna, inoltre, guardare al futuro, attrezzandosi tempestivamente per dare piena e tempestiva esecuzione non solo alla decisione riguardante la linea ferroviaria tra Torino e Lione, ma anche a quelle aventi ad oggetto numerose altre opere pubbliche. La grave carenza delle infrastrutture materiali, non solo nel Mezzogiorno e nelle isole (ingiustamente trascurati nella riforma costituzionale del 2001), richiede un’organica riforma delle procedure volte ad aggiudicare gli appalti pubblici, che potrebbe promuovere maggiori investimenti da parte dei privati. Richiede, altresì, una migliore sorveglianza sui lavori in corso e rigorosi collaudi finali. Sono tutte riforme da realizzare al più presto, nell’interesse del paese.

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