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Ecco perché sarà un “anno bellissimo” di stretta del credito

Mariarosaria Marchesano

L’effetto contagio del caro dello spread si manifesta con peggiori condizioni di prestito a imprese e famiglie. Report Unicredit

Milano. Nonostante i miglioramenti delle ultime settimane, i rendimenti che l’Italia paga agli investitori sui Btp a 10 anni sono il doppio di Spagna e Portogallo e quattro volte l’Irlanda. Il fatidico spread, cioè il differenziale tra questi stessi rendimenti e quelli dei Bund tedeschi, resta il più elevato dell’Eurozona intorno a 250 punti base e rappresenta un tale freno alla crescita del paese che alcuni economisti – è anche il caso autorevole di Ignazio Angeloni in un articolo sul Corriere della Sera – arriva a suggerire al governo gialloverde una ricetta di politica fiscale semplice e senza costi: “Ridurre lo spread attraverso dichiarazioni e impegni coerenti e credibili che aiutino a ristabilire la fiducia nel nostro paese”. Angeloni, che è membro del consiglio di Supervisione della Banca centrale europea, indica questa strada ovvia sapendo che è anche quella più difficile da percorrere per un governo che, a quasi a un anno dall’insediamento, ha al suo “attivo” un livello dello spread sovrano che è oltre 100 punti base sopra a quello di marzo 2018 proprio perché il mercato non è affatto convinto che le frizioni con l’Europa sulla sostenibilità dei conti pubblici siano esaurite, soprattutto se se si considera che mancano due mesi alle elezioni del Parlamento europeo.

   

La probabilità di una nuova fiammata di polemiche che, dopo la tornata elettorale, potrebbe accompagnare la richiesta di un’eventuale manovra correttiva al Bilancio 2019 è considerata molto elevata da chi opera sui mercati ma anche da numerosi osservatori economici. Una ricerca appena pubblicata dal team di economisti di Unicredit, per esempio, evidenzia che un altro choc dello spread sovrano nei prossimi mesi “farebbe aumentare significativamente i rischi per le prospettive di crescita dell’Italia” poiché a quel punto sarebbero pienamente visibili gli effetti sull’economia reale del conseguente aumento del tasso dei prestiti bancari. Per l’Italia si prospetta così “un anno bellissimo” (per citare il premier Giuseppe Conte) di credit crunch con imprese e famiglie che vedono peggiorate le condizioni per ottenere prestiti. La ricerca di Unicredit, condotta da Loredana Federico e Daniel Vernazza, spiega che il processo di trasmissione degli effetti del caro spread è stato finora molto lento e che nella sostanza i tassi di interesse applicati dagli istituti di credito a famiglie e imprese non sono cambiati molto dall’aprile del 2018. Ma dice anche che “è probabile che aumentino nel 2019-2020” ed evidenziano come questo “ponga il settore privato italiano in una posizione di svantaggio rispetto agli altri paesi dell’area euro”. Insomma, il sovrapprezzo pagato su un finanziamento da un’impresa italiana rispetto a una concorrente tedesca, francese o spagnola si riflette sulla competitività del sistema e, alla fine, sul pil. La conclusione a cui giunge quest’analisi è che l’impatto di un inasprimento degli standard di credito in seguito allo stress sovrano può essere gestibile, ma i rischi al ribasso per le prospettive economiche si intensificherebbero se le tensioni divampassero di nuovo.

    

Nel frattempo il supporto di liquidità offerto dalla Bce con la nuova tornata di prestiti Tltro rappresenta un ammortizzatore, ma non farà miracoli. Ma in che misura si riflette il caro spread sull’economia? Per esempio, un aumento di 100 punti del tasso dei prestiti bancari può arrivare a restringere il pil di 0,7 punti percentuali dopo tre anni, perché le condizioni di finanziamento delle banche sono meno favorevoli. Unicredit ipotizza così diversi scenari di rischio che partono da un nuovo choc dello spread sovrano che potrebbe arrivare fino a 360 punti base. Il potenziale effetto negativo sulla crescita del pil 2020 derivante dal conseguente aumento dei costi dei prestiti bancari per il settore privato è significativo: va da 0,3 punti a 0,6 punti percentuali, spiega la ricerca.

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