(Foto LaPresse)

Aspettando la Godot Airlines, il governo brucia miliardi per salvare Alitalia

Mario Seminerio

Sfasciare i conti dello stato per proteggere i posti di lavoro. Il nostro esecutivo si comporta come l'Unione Sovietica

Roma. Il vicepremier e bisministro, Luigi Di Maio, ha incontrato i sindacati dei lavoratori Alitalia, dopo la formalizzazione dell’”avvio” delle trattative con Delta e EasyJet. Ché di quello si tratta, e non di un arrivo in porto o in aeroporto. E’ solo l’inizio di una nuova, estenuante fase negoziale per accasare il vettore tricolore, dopo fiumi di inchiostro rosso e interventi dei contribuenti che ormai giustificherebbero l’integrazione dell’oggetto sociale di Alitalia con “produzione di Bad Company”. Sono passati i mesi, governi si sono avvicendati, il prestito ponte è stato prima aumentato e poi ripetutamente prorogato, attendendo la Godot Airlines.

 

Ora, dopo che Air France ha deciso di non immolare altri soldi sull’altare dei cugini italiani, e dopo che i cattivoni di Lufthansa hanno continuato a non fornire piani d’impresa ma si sono limitati a trolleggiare (secondo la vulgata), chiedendo un’Alitalia ben smagrita di personale, ecco le “trattative in esclusiva” con Delta, che dovrebbe trovare la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno del lungo raggio, ed Easyjet, la low cost continentale. Un’Alitalia bifronte potrebbe avere un senso, ma manca ancora la materia di cui è fatta la realtà: i numeri. Quelli ad esempio del costo della creazione dell’ennesima BadCo, quelli degli investimenti necessari al rilancio, quelli per ammortizzare gli esuberi, e in che modo. Ma c’è anche il tema della compagine societaria.

 

Pare infatti che Delta ed Easyjet arriveranno solo al 40 per cento, mentre il resto dovrebbe restare pubblico, tra ministero dell’Economia, Fs, e qualche altro patriota “volontario”. Avremmo quindi una maggioranza pubblica che cerca di assecondare i partner industriali. Ma sino a che punto? Difficile sfuggire alla sensazione che ci troviamo di fronte all’ennesima variazione sul tema della socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti, se mai ce ne saranno. Nel senso che i due vettori partner punteranno a mettere “a leva” il loro chip nella Nuova Alitalia. Tutti gli oneri del pregresso dovranno essere asportati accuratamente, per arrivare al matrimonio, e posti a carico dei contribuenti italiani.

 

In questo modo, in caso di fallimento dell’iniziativa, Delta e Easyjet avrebbero da svalutare o cancellare solo importi limitati, tali da non destabilizzarli finanziariamente ed economicamente. Sono questi i numeri che al momento mancano, e mancheranno ancora per molte settimane. Nel frattempo, siamo in attesa del pronunciamento di Bruxelles sul prestito ponte, che è uno smaccato aiuto di stato e che sta inesorabilmente bruciando, malgrado il disperato spin dei commissari di Alitalia, che informano i giornali che gli indici di puntualità sono ormai leggendari e che i ricavi sono in crescita.

 

Ma sempre più, pare che il centro di tutta l’azione governativa sia la salvaguardia dei livelli occupazionali, a cui immolare importi che negli anni sono diventati multipli di quello necessario per il completamento della Tav. Proteggere i livelli occupazionali, a costo di sfasciare i conti dello stato sembra essere l’unica bussola di un esecutivo alla deriva. Un po’ come in Unione Sovietica negli anni ruggenti, a dirla tutta. Una visione che nega in radice il dinamismo dell’economia ma anche la possibilità di politiche attive del lavoro, concentrandosi sul posto di lavoro anziché sul lavoratore. Di Maio si è presentato ai sindacati di Alitalia ipotizzando l’ennesimo rifinanziamento del Fondo Volo, quello per il quale si pagano 5 euro a biglietto aereo sui voli dall’Italia (erano 3, importo aumentato nel “decretone” che introduce quota 100 e reddito di cittadinanza), per finanziare la cassa integrazione ai lavoratori del trasporto aereo, all’80 per cento dello stipendio ma senza il tetto previsto per tutti gli altri comuni mortali.

 

E perché no? Potremmo mettere un sovrapprezzo pari al costo del biglietto, per tutelare meglio i livelli occupazionali. Serve essere realisti e pensare a misure di riduzione del danno e di questo tributo chiamato Alitalia. Per esempio, se le cose andassero male anche a questo giro, perché non prevedere la liquidazione di Alitalia e un vitalizio per il personale del vettore tricolore, pari ai livelli correnti della retribuzione? L’onere per lo stato si esaurirebbe con l’arco biologico dei percettori, ma potremmo anche pensare a forme di reversibilità per i familiari, che probabilmente sarebbero comunque meno onerose della fabbrica di BadCo oggi in essere. Pensiamoci, seriamente. Chi opera sui mercati finanziari chiamerebbe questa misura “stop loss”. Quello che serve per evitare il dissanguamento.

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