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A Davos la Cina prova a fare l'agente della globalizzazione

Giancarlo Salemi

Dal 1° febbraio nascerà la più grande area di libero scambio al mondo. Ma saranno l’Unione europea e il Giappone i protagonisti

Roma. Mentre la Cina prende il palcoscenico del forum economico di Davos presentandosi, ancora una volta, come agente della globalizzazione, è in realtà l’Unione europea, insieme al Giappone, a tenere alta la bandiera del libero commercio. Dal 1° febbraio nascerà la più grande area di libero scambio al mondo che vede come protagonisti l’Ue e il paese del Sol Levante, un mercato di oltre 600 milioni di persone che vale un terzo del pil mondiale. Un accordo negoziato per oltre dieci anni, votato a larga maggioranza lo scorso dicembre dal Parlamento europeo, e forse il migliore lascito di questa Commissione europea giunta oramai al capolinea. Spariranno circa un miliardo di dazi pagati ogni anno dalle nostre imprese che esportano in Giappone, oltre all’eliminazione di una serie di barriere regolamentari in diversi settori, tra cui quello delle automobili (anche se i dazi verranno eliminati progressivamente in un periodo di sette anni).

 

“In una fase storica dove si alzano muri e ponti levatoi, dove trionfano i popolusmi e i sovranisti, questo accordo di libero commercio con zero dazi è la dimostrazione che il liberismo non è morto ma ha solo bisogno di essere declinato nelle forme giuste”, dice Alessandro Bertoldi direttore esecutivo dell’Istituto Milton Friedman. I cui analisti hanno anche stilato i settori che maggiormente beneficeranno dell’intesa. A partire all’agridood. Con l’abolizione di tariffe giapponesi (fino al 97 per cento a pieno regime) su formaggi, vino e carni, con un risparmio stimato in oltre un miliardo di euro per le imprese europee, e il rafforzamento e la reciproca estensione della tutela per le indicazioni geografiche, che riguarderà oltre duecento prodotti europei in Giappone. “L’agricoltura e l’alimentare in crisi – scrivono – colpiti in passato dalle sanzioni con la Russia grazie a questo accordo avranno un nuovo mercato estero a cui guardare con interesse”. Ma non solo. Sarà possibile per le imprese europee ed italiane accedere al mercato degli appalti di 48 municipalità nipponiche (città di medie dimensioni sotto i 500mila abitanti), investire nel sistema ferroviario nazionale e contare su un sistema agevolato nelle normative di sicurezza sulle immatricolazioni di auto prodotte in Ue. Intesa anche sulla protezione dei dati personali, che consentirà la libera circolazione dei dati tra Europa e Giappone, assimilato e considerato in tale ambito come stato membro dell’Unione. L’accordo, che prevede il mutuo riconoscimento dei livelli di protezione dei dati a fini commerciali e per forze dell’ordine, consentirà collaborazioni sensibili in ambiti finora inesplorati.

 

Per il made in Italy si aprono enormi opportunità – dice al Foglio Roberto Luongo direttore generale dell’Istituto per il commercio estero – Vantaggi per le aziende italiane del settore enologico (dazi a zero), agroalimentare, moda (calzature e pelletteria), oreficeria e tanti antri comparti. Per usufruire dei vantaggi dell'accordo, occorre che gli esportatori italiani – ricorda il direttore dell’Ice – si iscrivano nel  sistema Rex (Registered exporter system). La registrazione serve a certificare l’origine Ue del prodotto esportato”.

 

Inutile ricordare che il Giappone, partner del G7, è uno dei paesi più ricchi del mondo, con una popolazione di 120 milioni di persone, un reddito medio per abitante elevato, ma soprattutto una grande volontà di acquistare made in Italy.

 

E’ la stessa Commissione europea a ricordarci che sono 14.921 le aziende italiane che esportano ad oggi i loro prodotti verso il Giappone, e ben 88.806 posti di lavoro in Italia dipendono direttamente da questa relazione commerciale. L’Italia in particolare esporta beni per un valore di 6,6 miliardi di euro e importa per 4,4 miliardi di euro, con un attivo commerciale di 2,2 miliardi. In totale, l’accordo potrebbe portare a un aumento delle esportazioni europee verso il Giappone del 13,2 per cento (circa 13,5 miliardi di euro), una vera e propria manna dal cielo.

 

Trump non ha fermato la globalizzazione

I primi negoziati tra Ue e Giappone risalgono al 2009 e solo nel 2013 si era aperto un vero e proprio tavolo di confronto. Ma tutto procedeva molto a rilento. La svolta è arrivata, paradossalmente con l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Tra i primi atti della sua Amministrazione infatti c’è stato il ritiro dell’adesione americana al Ttp, il grande accordo di libero scambio che coinvolge 12 paesi affacciati sull’oceano Pacifico, tra cui il Giappone. A partire da quel momento, si sono intensificati i negoziati tra la Commissione europea e l’Amministrazione nipponica, a caccia di nuovi partner commerciali. Non è un caso che è stata proprio la Confindustria giapponese a brindare per prima all’intesa raggiunta. Il suo presidente Hiroaki Nakanishi, già amministratore delegato della Hitachi, con forti interessi in Italia dopo l’acquisizione lo scorso ottobre di Ansaldo, ha ricordato con entusiasmo che “queste misure sono uno stimolo potente per il commercio globale e l’occupazione, e una chiara risposta alle posizioni anti globaliste e protezionistiche”. Posizione ribadita anche da Shinya Kuwano, general manager della divisione internazionale della multinazionale Nishitetsu, con sedi in 80 paesi, tra i membri fondatori della Japan Italy Economic Federation (Jief), “il comparto logistico e trasporti si attende un notevole incremento delle proprie attività e per questo molti colossi del settore si stanno muovendo anche sul fronte di rafforzamenti societari e investimenti finanziari. Il nostro gruppo, per esempio, sta concludendo in questi mesi la prima acquisizione in Italia, per rafforzare la nostra presenza e sfruttare al meglio il canale che verrà aperto dall’accordo”. Insomma un’intesa win win, dove vincono l’Europa, l’Italia e il Giappone. E il liberalismo che batte un colpo a dispetto dei sovranisti.

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