Salvini, Di Maio e Conte (foto LaPresse)

Macron può diventare, ancora, l'alibi delle pazzie di Salvini e Di Maio

Luciano Capone

Con i gilet gialli torna il (brutto) film già visto a settembre, quando i due usarono la Francia come pretesto per il deficit al 2,4%

Roma. Come Bill Murray nel Giorno della marmotta di “Ricomincio da capo”. Sembra di essere tornati a settembre, quando si discuteva di una manovra tutta da scrivere, dei provvedimenti da inserire e dei numeri da limare, da un lato le promesse di Salvini e Di Maio nelle piazze reali, televisive e virtuali e dall’altro Conte e Tria a cercare un compromesso a Bruxelles. E ancora una volta la Francia con una duplice coincidenza temporale, allora la presentazione di Macron del suo progetto di “Loi de finances” e ora la sua marcia indietro a causa della protesta dei gilets jaunes, potrebbe spingere l’istinto populista e l’interesse politico ad avere la meglio sulla razionalità economica e i vincoli di bilancio.

 

A settembre nel governo era in corso una serrata trattativa tra i due detentori del potere politico, Salvini e Di Maio, che volevano un’attuazione immediata e spinta delle promesse elettorali e i due rappresentanti istituzionali, Conte e Tria, che nei due mesi precedenti si erano impegnati nelle sedi ufficiali europee a rispettare le regole del condomino. Tria aveva già raggiunto un’intesa di massima con la Commissione che prevedeva non un aggiustamento del deficit dello 0,6 per cento, ma dello 0,1 o al limite una politica fiscale neutra. Era quel famoso 1,6 per cento di deficit, che Tria era disposto a portare all’1,9 e che Conte ha cercato di trattenere al 2,1 per cento. Lo spread era a 240 punti e i mercati in attesa. Un evento che spostò l’ago della bilancia verso Di Maio e Salvini, che cioè rafforzò le loro convinzioni su una manovra fortemente in deficit, fu la presentazione, pochi giorni prima, il 24 settembre, della manovra da parte di Macron che prevedeva un deficit al 2,8 per cento. Non contava che la manovra francese, al netto di una misura una tantum di 1 punto di pil, prevedeva un aggiustamento strutturale dello 0,3 per cento. Il messaggio politico era: si può fare più deficit. “La Francia per finanziare la sua manovra economica farà un deficit del 2,8 per cento. Siamo un paese sovrano esattamente come la Francia. I soldi ci sono e si possono finalmente spendere a favore dei cittadini”, diceva Di Maio. Così Conte e Tria uscirono sconfitti e delegittimati dal Consiglio dei ministri del 27 settembre, finito con i festeggiamenti sul balcone, che approvò un deficit al 2,4 per cento causando un’impennata dello spread ben oltre i 300 punti.

 

Le settimane successive fatte di lettere della Commissione, mercati in fibrillazione, banche in tensione, capitali in fuga, risparmiatori lontani dalle aste di titoli di stato, la bocciatura unanime da parte degli altri paesi dell’Eurozona fino all’avvio della procedura d’infrazione hanno portato i due vicepremier a più miti consigli. Il governo aveva annunciato la possibilità di rivedere al ribasso il deficit per evitare la procedura d’infrazione (con misure di ritardo nell’attuazione di reddito di cittadinanza e quota cento che difficilmente verranno accettate da Bruxelles). Ma dopo la riapertura della trattativa con l’Europa durante il G20 a Buenos Aires e pochi giorni prima dell’incontro fra Conte e Juncker di domani, a Parigi scoppia la rivolta contro il governo dei gilet gialli, che vede Macron fare marcia indietro sull’aumento delle accise sui carburanti, quindi rivedendo al rialzo il deficit che molto probabilmente supererà la fatidica soglia del 3 per cento.

 

Come fa il governo sovranista a ridurre il deficit sotto il 2 per cento proprio adesso che la Francia l’alza sopra il 3? Salvini twitta contro Macron e Di Maio dice che le proposte dei gilet gialli sono nella “manovra del popolo”. E’ indubbio che politicamente adesso il governo si senta più forte nei confronti dell’Europa. Il rischio è che le circostanze francesi possano spingere i due vicepremier a fare di nuovo la cosa sbagliata, perché alla fine il vero braccio correttivo non è quello della Commissione ma quello dei mercati. La sanzione non arriva dalla procedura d’infrazione ma dall’aumento dello spread.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali