Le manifestazioni dei gilet gialli ieri a Parigi (foto LaPresse)

Gilet jaune, o la potenza anonima e minacciosa di un'immagine

Giuliano Ferrara

Non si può dire che cosa resterà di questa impersonificazione francese della Brexit, del trumpismo, della via italiana, al momento delle elezioni europee. Anche il mondo al di là di destra e sinistra è un rompicapo

Il gilet jaune è la tua divisa geniale, trovata nel portabagagli del Suv, fa chiazza e folla, rifrange la luce, fa truppa e rivolta, identifica il popolo all’attacco a beneficio di chi ti guarda nei monitor e nelle tv all news, si sposa con lo zainetto e magari il piccone, ti conferisce una ribalda fierezza, moltiplica l’effetto della forza in cammino, en marche, un’appartenenza che lega;  l’automobile il tuo blindato domestico, il blocco stradale la tua forma di lotta al crocevia, la decapitazione del potere lo scopo ultimo quando Parigi diventa lo spazio urbano della Fronda o addirittura una replica del sanculottismo. La rivolta fiscale e la vittimizzazione dei ceti declassati è il tuo strumento per impadronirti dell’opinione pubblica e scatenare l’inferno. In tutto questo di nuovo è l’immagine a trionfare: le solite Marianne a macchia gialla che fronteggiano e provocano i bambolotti con casco e scudo inviati dal governo, i tricolore che significano e non significano, la Marsigliese, il grido ritmato Macron démission, le rivendicazioni altisonanti che devono raggiungere il Palazzo del potere dove risiedono nel lusso della rappresentanza, chiuse e come imprigionate da alti sbarramenti, le élite arroganti e il loro capo jupitérien, al centro del centro di un sistema che ha nell’Eliseo e nel ministero dell’Interno, adiacenti, il suo fuoco geometrico antifrondista. Gli arresti, le cariche, i lacrimogeni, la fatica dei reparti mobili dei gendarmi, accerchiamento e manovra, le divise della polizia sono divise di guerra, i guerrieri di strada dello stato sono goffi come tutti gli eserciti, la loro esposizione è la loro sconfitta e la vittoria sicura di chi li sfida, anche quando è costretto a ripiegare, arrivano segnali di remissione e dialogo, alla Bastiglia spuntano fiori, fioccano gli arresti e i fermi, scattano i filtraggi e i sequestri delle maschere antigas, dei caschi di motocicletta, di qualche arma impropria utile alla picconatura dei pavé, alla raccolta di proiettili.

 

Non ci sono capi in giro. Non si vedono guide, timonieri, ideologie, salvo la falsa coscienza che ha di sé un popolo di sudditi blanditi dal welfare, abituati alla bambagia, che soffrono come amputazioni sanguinose le traversie dell’economia sociale mostruosamente incarnate, come sempre, nei miti della crescita dell’ineguaglianza e della crassa allegria di chi trae vantaggio e privilegio dalle distorsioni del sistema. Un anno fa i francesi diedero il venti e qualcosa per cento a Macron al primo turno, e non era un Macron così diverso, salvo l’effetto novità e arrembaggio ai partiti tradizionali, da quello di governo; poi gli diedero due terzi dei voti contro Marine Le Pen, in pena come erano per il futuro della moneta europea che avevano in tasca, e poi una sicura maggioranza parlamentare per agire nelle istituzioni. E’ anche vero che il quaranta per cento degli elettori, quando si sceglie in prima battuta, si rivolsero al Fronte antieuropeo e populista e al leader di sinistra che considera Maduro uno schema o modello di governabilità ed eccita le folle con una calda retorica rivoluzionaria, l’irritabile Mélenchon. La mobilitazione però adesso è scollegata dai comportamenti di un anno e mezzo fa, ha quel tocco di impersonale, di automatico se non di spontaneo, che è la forma storica delle rivoluzioni che si fanno in certo senso da sole, ancora una volta senza e contro i partiti. Troveranno i loro oratori incendiari, prima o poi, si raccorderanno a qualche regolamento storico della lotta politica, è possibile se  non probabile, ma per adesso si procede a tastoni, con la mediazione infuocata dei social media, e chi negozia, chi vuole discutere, anche se indossa un gilet giallo, è regolarmente sconfessato o minacciato di morte per tradimento.

 

Non si può dire che cosa resterà di questa impersonificazione francese della Brexit, del trumpismo, della via italiana, al momento delle elezioni europee. Non si può nemmeno dire come ci si arriverà. Chi avrà la forza per reggere l’urto, della rivolta e della repressione. Sicuro è che la potenza dell’immagine di un popolo che si sceglie la divisa da autogrill, che monta in macchina e blocca il traffico, che scala le vette del potere a Parigi imponendo la sua legge alla Tour Eiffel, al Louvre, ai grandi magazzini, ai quartieri alti della capitale che più capitale non si può, che ottiene con la violenza il taglio delle tasse e delle bollette nel giro di un sabato di fuoco, ecco, questa potenza è diversa dalla “geometrica potenza di via Fani e dalla terribile bellezza del 12 marzo” cantata dagli autonomi italiani nei Settanta, è diversa dal Maggio di cinquant’anni fa, dalle mobilitazioni studentesche, operaie e sindacali, dalle orge discorsive dell’intellighenzia, ed è molto più confusa, ambigua, minacciosa per la sua cifra di anonimità culturale, per la sua disponibilità a opposte interpretazioni. Anche il mondo al di là di destra e sinistra fa pensare, è un rompicapo, forse più ancora di quello della pacifica e ironica, la minuscola e promettente Kramp-Karrenbauer, la capa dell’ultimo partito, il suo baluardo malfermo nelle acque gelide della Germania. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.