Una Fiat Panda nello stabilimento di Pomigliano d'Arco. Foto LaPresse

E' il meridionalismo di Marchionne l'alternativa al reddito di cittadinanza

Luciano Capone

Lo stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco, trasformato in un modello industriale, è la prova che il cambiamento al sud è un problema di tara culturale 

Roma. “I pazzi si distinguono in due tipi: quelli che credono di essere Napoleone e quelli che credono di risanare le Ferrovie dello Stato”. Quando Sergio Marchionne ha detto di voler trasformare e rendere efficiente la Fiat di Pomigliano d’Arco, in molti sono andati con la mente alla celebre massima di Giulio Andreotti. Lo stabilimento napoletano è stato, sin dalla fondazione come Alfasud ai tempi delle partecipazioni statali, il simbolo dell’inefficienza. Una tradizione di altissima conflittualità operaia, che si è vista anche all’epoca dei referendum, un tasso di assenteismo elevato, che raggiungeva i livelli record soprattutto in circostanze particolari come le partite del Napoli o le elezioni, e poi livelli record di invalidi e di furti in fabbrica. Ma il simbolo più grande dell’inefficienza erano probabilmente i circa 70 cani randagi che gironzolavano nello stabilimento, fin dentro al reparto verniciatura, che dovrebbe essere sterile quasi come una sala operatoria.

  

Nessuno era mai riuscito a mettere le cose a posto e nessuno sano di mente pensava che si potesse far diventare quel posto una fabbrica moderna. “Smettere di fare auto a Pomigliano è il consiglio che mi è stato dato da tutti i miei collaboratori, dicendo che è una sfida impossibile”, disse l’ex ceo di Fca in una rara intervista televisiva. Per capire cosa è stata la rivoluzione di Marchionne – considerato ancora oggi da molti un uomo di finanza e non di industria, un padrone sfruttatore e non un manager che valorizza gli operai – bisognerebbe visitare adesso lo stabilimento di Pomigliano, che è diventato un caso di studio (leggere “How to start a revolution: organizational changes and lean system at Fca Pomigliano plant” di diversi economisti dell’Università di Trento). Con l’introduzione del World class manifacturing (Wcm) – un sistema di organizzazione del lavoro preso dalla Toyota, di cui ha parlato sul Foglio Marco Bentivogli – nel giro di pochi anni Pomigliano è diventato uno stabilimento modello, premiato già nel 2012 in Germania, primo su 180 stabilimenti che utilizzano il Wcm nel 2015.

  

Da caso disperato a miglior fabbrica d’Europa. La rivoluzione di Pomigliano passa da un grande cambiamento interno, che parte da un azzeramento delle vecchie gerarchie, dalla costruzione di nuovi team valorizzando le risorse umane già presenti e dal coinvolgimento degli operai anche nella progettualizzazione. Viene riportata la produzione dall’estero, e anche se il futuro dello stabilimento non è ancora definito, di certo è stata evitata la la chiusura di un polo da circa 20 mila dipendenti con l’indotto in una delle zone del sud Italia ad altissimo disagio sociale.

  

La trasformazione dell’ex Alfasud è un tassello fondamentale del “meridionalismo” di Marchionne, che si completa con le scelte diverse su altri stabilimenti del sud come Melfi, Termini Imerese e l’ex Irisbus. Melfi, come Pomigliano, è stato rilanciato per produrre nuovi modelli per il mercato estero come la 500X e la Jeep Renegade. Mentre Termini Imerese è stata chiusa, stessa sorte per l’Irisbus che faceva autobus. Per un motivo banale spiegato sinteticamente da Marchionne: “L’Irisbus non ha mai guadagnato una lira nella sua storia”. Nella visione di un abruzzese canadese, quindi un meridionale-cospomolita, il Meridione ha un futuro solo se è efficiente, se corregge i propri difetti e diventa produttivo, se trova un ruolo nel mondo, se si inserisce in una catena globale del valore e della produzione. E’ destinato a soccombere se pensa di poter essere assistito in eterno.

  

La rivoluzione di Marchionne a Pomigliano ha dimostrato che il sud può cambiare, non ha una tara genetica. Ha però probabilmente una tara culturale, che si è vista alle elezioni politiche, quando ha trionfato lo statista di Pomigliano che ha promesso il reddito di cittadinanza come strumento per il riscatto del sud. E’ evidente che in politica serva qualcuno che sappia indicare al sud una prospettiva diversa, un meridionalista come Sergio Marchionne.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali