Un impianto di trivellazione norvegese nel mare del Nord (foto via Wikimedia Commons)

Ecco gli investimenti italiani del fondo sovrano più ricco del mondo

Alessandro Berrettoni

Il Norges Bank Investment Management nel 2017 ha superato i 1.000 miliardi di valore. Undici sono serviti ad acquisire partecipazioni in banche, utility, lusso e campioni nazionali

Si chiama Norges Bank Investment Management ed è il fondo sovrano più ricco del mondo. E’ nato venti anni fa per reinvestire i proventi della fiorente industria petrolifera norvegese e nel frattempo è diventato una miniera d’oro, grazie alla diversificazione della spesa e all’idea che quella spesa servisse per bilanciare il debito pubblico dei cittadini e garantire un avvenire prospero “alle future generazioni”. Ad oggi vanta partecipazioni in 9mila società: l’1,4 per cento di quelle quotate in tutto il mondo.

 

A settembre 2017 il valore dei suoi investimenti ha superato i 1.000 miliardi di dollari, che divisi per i 5 milioni di abitanti dello stato scandinavo fanno circa 190 mila euro a testa. Soldi distribuiti in tutto il mondo, Italia compresa. Da A2A A YOOX (in ordine alfabetico), sono 127 le società quotate che hanno visto arrivare (o intensificare) nel 2017 la presenza del Nbim: energia, banche, editoria, calcio, nessun settore è escluso.

 

 

Cos'è il Norges Bank Investement Management?

 

Il Norges Bank Investment Management fa capo alla banca centrale norvegese ed è responsabile dei fondi pensionistici del paese, con una gestione globale che ha permesso lo scorso anno un guadagno complessivo del 13 per cento, 131 miliardi. Più della metà delle risorse (il 67 per cento) è destinata a investimenti azionari in tutto il mondo, una quota che salirà al 70 per cento entro il 2019, secondo le intenzioni della governance.

 

 

Per la maggior parte si tratta di quote in società americane: 250 miliardi di dollari sono stati investiti negli Stati Uniti. Il denaro va dove può alimentarsi e produrre profitto, non a caso il Nbim negli ultimi anni ha comprato soprattutto quote delle aziende della Silicon Valley. Di Apple, ad esempio,  possiede lo 0,9 per cento.

 

 

Il comportamento nei mercati del Norges Bank Investment Management è regolato da un decreto reale del 2004, che stabilisce le linee guida “etiche” per la sua gestione. Da allora infatti, si è deciso di imprimere una svolta politicamente corretta alle politiche economiche del fondo: vietato spendere in quelli che sono considerati asset dannosi o inquinanti per l’uomo o in società che contribuiscano, anche indirettamente, a violare i diritti umani. Per questo, dal 2014, non vengono più effettuati acquisti in società carbonifere. Il patrimonio del fondo è diviso tra azioni, obbligazioni e beni immobiliari. Le prime sono la quota predominante e saranno aumentate, visti gli ottimi risultati economici raggiunti nell’ultimo periodo. Il mandato del ministero delle finanze è di avere il più alto margine di guadagno possibile, diversificando e riducendo al minimo il rischio di volatilità. Per questo sono stati ridotte le spese su gas e - piccolo paradosso se si pensa da dove arriva la sua ricchezza -  petrolio. Nel frattempo le quote di Apple, Alphabet (Google) e Tencent, dunque compagnie tecnologiche, si sono rivelate essere gli investimenti più redditizi, come peraltro è noto ai finanzieri globali (si pensi alle recenti decisioni di Warren Buffet) mentre i peggiori sono General Electric ed Exxon Mobil.

 

In Italia il Nbim ha partecipazioni in 127 aziende. Piccole quote, ramificate in tutti i settori. Saipem, Snam, Erg, ma anche Amplifon. I norvegesi si sono comprati piccole fette di tutti i comparti del listino di Piazza Affari. Energia, con gli 857 milioni di azioni Eni, bancario, con 742 milioni in Intesa Sanpaolo. Pesci grossi e pesci piccoli: Autogrill, Ansaldo, Leonardo (ex Finmeccanica), Fca, Poste, Rcs, Cairo communications. Il 3 per cento di Mondadori e, tanto per non farsi mancare niente, lo 0,36 della Juventus. Totale speso nel 2017, 11 miliardi di dollari, tre in più del 2016.

 

Lo scorso anno il fondo sovrano norvegese ha speso, ad esempio, 93 milioni per le quote di Amplifon, non a caso si tratta pur sempre di un fondo pensionistico. Tutto viene fatto sulla base di principi di responsabilità: “investiamo ed esercitiamo i nostri diritti responsabilmente perché il nostro pensiero è legato alle generazioni future: vogliamo contribuire alla creazione di mercati ben funzionanti e a promuovere gli investimenti responsabili”, si legge nella home page del sito nbim.no.

 

Il settore bancario è quello più comprato dal fondo norvegese, che ha investito non solo nei grandi player come Intesa Sanpaolo e Unicredit, ma anche nel Credito Valtellinese o, per dire, nella Banca di Desio e della Brianza, con 67 mila dollari. Briciole, rispetto al miliardo e 156 milioni che il Nbim ha speso in Enel (raddoppiando la quota azionaria del 2016), che è una utility e dà sicurezza.

 

Il made in Italy è apprezzato anche in Norvegia

 

Il Nbim possiede quote in molti marchi del lusso italiani: Brunello Cucinelli, Moncler, Luxottica, ma anche l’1 per cento di Yoox, gioiellino dell’e-commerce passato di recente al gruppo svizzero Richemont. Chiamamolo fiuto per il mercato, piccole quote che oscillano, si espandono o si riducono anno dopo anno. L’effetto non cambia, l’ondata norvegese cresce costantemente. Cinquantaquattro milioni in Mediaset, 58 in Ovs, e poi Ferrari, Ansaldo, Mediobanca, Fiat Chrysler, il 4 per cento di Prysmian.

 

Azioni che vanno ad arricchire il patrimonio del fondo sovrano nato dal petrolio, che però non investe più nel petrolio, che gestisce le pensioni dei norvegesi per l’avvenire delle generazioni future e che, nel frattempo, fa 131 miliardi di dollari di profitti.