L'ad di Eni Claudio Descalzi (foto LaPresse)

Appunti per la prossima politica estera italiana

Redazione

La nuova geopolitica del Mediterraneo spiegata con le partite di Eni

Eni sta uscendo bene dalla tempesta del cheap oil entrando in un periodo di rinascimento industriale, come dimostrano i dati economici rilasciati ieri in occasione dell’approvazione dei risultati consolidati dell’esercizio relativi al 2017. Ha chiuso l’anno con una produzione record di idrocarburi e a dicembre ha raggiunto il record assoluto di produzione del gruppo a 1,92 milioni di barili al giorno. Crescita importante anche dei profitti operativi nell’attività di esplorazione e produzione, pari al 78 per cento, e un flusso di cassa che ha raggiunto i 2,4 miliardi di euro, anche grazie a una riduzione del debito dovuta alla cessione di asset in Egitto e Mozambico.

 

I fondamentali ci sono, come ha rimarcato l’ad Claudio Descalzi. Eppure, nonostante la fase positiva, Eni ha di fronte una serie di attriti geopolitici vertiginosi che devono essere risolti. All’orizzonte non c’è solo il caso cipriota – a riguardo Descalzi ha detto che la situazione non è sotto il controllo di Eni e che la diplomazia di Italia, Europa, Francia, Cipro e Turchia è impegnata nelle discussioni. Esiste anche la tensione tra Israele e Libano: qui c’è un contenzioso per la definizione del confine terrestre e marittimo. La disputa verte sul blocco 9 nel Mediterraneo. Per quest’area, Beirut ha appena firmato un contratto per la prospezione di gas con Eni, la francese Total e la russa Novatek. Il ministro della Difesa israeliano, Avigdor Liberman, è stato chiaro: la firma degli accordi è una vera provocazione e un grande errore perché quel tratto di mare appartiene a Israele. Parole che hanno scatenato una dura reazione da parte del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, minacciando un lancio di missili sulle piattaforme petrolifere israeliane. Eni riesce a perforare dove altri per inferiorità tecnica non arrivano, ma dispute territoriali antiche rischiano di essere un problema non solo per Eni ma anche per il nostro interesse nazionale. La politica estera del prossimo governo è utile che ne tenga conto.

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