Mario Draghi (foto LaPresse)

Così l'incertezza sull'inflazione porta maretta nell'Eurotower

Alberto Brambilla

All’interno del Consiglio direttivo della Bce ci sono posizioni differenti sulle tempistiche circa la conclusione del quantitative easing

Roma. L’inflazione nell’Eurozona è attesa in calo all’1,3 per cento nel mese di gennaio, secondo le stime Eurostat, nonostante una crescita economica sostenuta come non si vedeva da un decennio, del 2,5 per cento nel 2017, e la graduale ripresa del mercato del lavoro nell’area euro. L’uscita dalla crisi finanziaria a ritmi più rapidi degli Stati Uniti (2,3) e del Regno Unito (1,8) fiaccato dalla Brexit (come previsto dalla Bank of England dopo il voto di giugno 2016) stanno facendo aumentare la speculazione circa un ritiro più rapido del previsto degli stimoli all’economia da parte della Banca centrale europea. “Il quadro generale rivela che l’area euro continua a crescere sopra la media. Non c’è alcuna giustificazione economica per l’acquisto di titoli da parte della Bce con questi numeri”, dice Paul Donovan, capo economista della divisione Wealth Management della banca svizzera Ubs. La Banca centrale europea presieduta da Mario Draghi è intenzionata a ritirare gradualmente il programma di acquisto di titoli pubblici, chiamato Quantitative easing, da 2.300 miliardi di euro, mano a mano che la ripresa manifesterà vigore.

 

A partire da quest’anno gli acquisti mensili sono dimezzati (da 60 a 30 miliardi). Tuttavia all’interno del Consiglio direttivo ci sono posizioni differenti, rivelate da dichiarazioni radicali, riguardo le tempistiche circa la conclusione definitiva del sostegno emergenziale all’Eurozona. Le divisioni nel board riflettono la divaricazione genetica dell’area euro nord-sud. In particolare Germania e Olanda premono per una manovra rapida di ritiro. Il governatore della Banca d’Olanda, Klaas Knot, “falco” spesso in contrasto con la politica accomodante inaugurata da Draghi, e in linea con Jens Weidmann della Bundesbank, ha detto che “il programma ha fatto quello che realisticamente ci si aspettava” ed “è perfettamente ragionevole che arrivi a esaurimento a settembre” e “data la crescita economica sono convinto che l’inflazione nell’Eurozona arrivi all’obiettivo vicino al 2 per cento nel medio periodo”, ha detto durante il talk show Buitenhof. Solitamente le dichiarazioni dei banchieri di lingua germanica hanno audience tra la popolazione locale, cui sono rivolte, ma in questo caso hanno valicato i confini e impegnato altri membri dell’Eurotower a schierarsi. Il governatore della Banca centrale del Lussemburgo, anche lui un “falco” ma moderato, ha detto “abbiamo visto risultati dal Qe ma non abbiamo mai detto che non ci sarebbero pericoli di conseguenze negative”. In risposta, dall’altro fronte che sposa la linea accomodante di Draghi, Benoît Cœuré delle Banca di Francia, ha detto da Dublino che “ un ampio grado di stimolo monetario rimane necessario affinché l’inflazione di fondo continui a irrobustirsi”.

 

Ad avere aggiunto un elemento chiave al dibattito interno all’Eurotower è stato probabilmente il capo economista Peter Praet, tedesco, centrista e “colomba”, in un discorso dal Consiglio dell’Unione europea lunedì, riprendendo un comunicato Bce dell’ottobre scorso: “Noi continueremo acquisti mensili di 30 miliardi o oltre se necessario e – è quello che segue il particolare importante che viene recuperato – in ogni caso finché il Consiglio direttivo non vede un sostenuto aggiustamento del percorso dell’inflazione in linea con il nostro obiettivo”. La Bce guarda all’inflazione di fondo (depurata dai prezzi di energia, cibo, alcolici e tabacco) ed è salita dallo 0,9 per cento a un comunque basso all’1 per cento. In parte ciò è dovuto all’andamento dell’occupazione in Eurozona: anche se il numero di disoccupati cala a dicembre, l’alto numero di coloro che cercano un lavoro adatto alle loro capacità lascia pensare che ci sia una quantità di capitale umano sottoutilizzata più di quanto rivela il tasso di disoccupazione (fermo all’8,7 per cento nell’area). Secondo gli analisti di Capital Economics, “questa misura sottovalutata suggerisce che l’inflazione di fondo non raggiungerà l’obiettivo fino al 2020”. C’è spazio, e tempo, in Bce per discutere, e le “colombe” avranno argomenti ulteriori. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.