Mario Draghi (foto LaPresse)

Un'altra missione per Mario

Renzo Rosati

Dopo avere salvato l’euro, Draghi attacca le interferenze americane sui cambi

Roma. Strattonato al solito su una rapida fine del Quantitative easing (allentamento monetario), ed ora anche sul successivo rialzo dei tassi, Mario Draghi ha ripetuto ieri al Parlamento europeo a Strasburgo, il suo dogma: il Qe ha avuto successo e l’economia europea è in costante miglioramento, anche oltre le attese; ma i tassi nell’eurozona resteranno bassi a lungo, ben oltre la fine del piano di acquisti della Banca centrale europea. Acquisti che dovrebbero terminare il 30 settembre (più una coda per il reinvestimento delle cedole): “Ma il nostro programma, che si svolge ad un ritmo di 30 miliardi di euro al mese, continuerà oltre se necessario, e in ogni caso finché il consiglio vedrà un aggiustamento dell'inflazione coerente con i suoi obiettivi”. 

 

Il mandato dell’Eurotower un’inflazione “sotto ma prossima al 2 per cento in tutta la zona della moneta unica, e si rafforzata la fiducia che l’obiettivo potrà essere raggiunto nel medio periodo. Ma non possiamo ancora cantare vittoria”. E questo per due motivi: il primo è l’influenza ondivaga del rialzo dei prezzi dell’energia. Il secondo è ben più importante: “Nuovi venti contrari sono nati dalla volatilità nei tassi di cambio, le cui implicazioni per la stabilità dei prezzi richiedono uno stretto monitoraggio”. E’ il secondo avvertimento in pochi giorni che Draghi lancia agli Stati Uniti, dove proprio ieri Jerome Powell ha giurato come nuovo presidente, dopo l’incerta era della democratica Janet Yellen. 

 

E pare che proprio Powell abbia più problemi di Draghi: il segretario al Tesoro Steve Mnuchin, in coerenza con Donald Trump, ha dichiarato che il dollaro debole avvantaggia il Made in Usa; e il biglietto verde è scivolato ai minimi da tre anni provocando un rafforzamento dell’euro che nell’era Trump ha superato il 15 per cento. Eppure oltre Atlantico la situazione è capovolta rispetto all’Europa: economia in crescita, ma minore (2,3 per cento contro 2,5) e inflazione temuta in ascesa a causa del rialzo dei salari (più 2,9 per cento) e della ripresa del mercato immobiliare. Il 36 per cento dei gestori appena sondati da BofA Merril Lynch prevede una bolla dei prezzi con conseguente accelerazione dei rialzi dei tassi già deciso dalla Fed, e caduta del valore delle obbligazioni circolanti. Se questo scenario si concretizza, la stretta monetaria produrrebbe il rialzo del dollaro, auspicato dai paesi esportatori europei come Germania e Italia. 

 

Nel frattempo i mercati azionari ne hanno approfittato per proseguire la correzione al ribasso. Il nuovo fronte valutario può distrarre gli avversari di Draghi, soprattutto tedeschi. La Deutsche Bank, chiuso il terzo bilancio consecutivo in rosso, dà la colpa ai minori ricavi da intermediazione sui tassi; mentre la Bundesbank e la banca centrale olandese chiedono per settembre lo stop definitivo al Qe. In aggiunta vengono moniti sulla concorrenza che i big dell’e-commerce possono portare alle banche tradizionali aprendo piattaforme finanziarie, soprattutto Amazon, Alibaba ed eBay. Il Financial Times ha raccolto abbondanti preoccupazioni con Ralph Hamers, ceo della olandese Ing, che accusa i regolatori europei di “avere aperto le porte alle banche-tech, che hanno molti più soldi da bruciare”. Altre lamentele vengono dai fondi previdenziali, la cui redditività dipende dai tassi. Ma con Angela Merkel impegnata a chiudere l’accordo di coalizione con i socialdemocratici (e Weidmann indebolito e Wolfgang Schäuble fuori dalla partita), Draghi ostenta sicurezza. 

 

Dopo avere salvato l’euro inizialmente con i soli annunci, ha contribuito a rimettere in moto l’economia anche in paesi come Portogallo e Grecia (si vedrà come vanno le elezioni italiane); e se alcune grandi banche vanno male non pare colpa sua ma piuttosto dell’eccesso di derivati, e nel caso delle italiane della massa ancora ingente di crediti deteriorati (sulla quale il capo della Bce neppure ieri ha fatto sconti). Dei vertici delle istituzioni europee – Commissione, Parlamento, Consiglio e Bce – Draghi è il più forte, il più operativo, il più riconoscibile. Scusate se è poco. 

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