Osteggiare la riduzione dei titoli di stato in mano alle banche è sbagliato

Carlo Milani
L’esposizione del settore bancario verso i titoli italiani è più che triplicata dal 2008 (da meno dell’8 per cento a circa il  25 per cento del pil a fine 2015) pur stabilizzandosi nel 2013.

La valutazione dei titoli di stato nei bilanci delle banche continua a essere materia di discussione delle autorità europee. “Il  settore bancario italiano resta esposto al rischio sovrano”, dice il rapporto della Commissione europea sugli squilibri macroeconomici dell’Italia pubblicato ieri. L’esposizione del settore bancario verso i titoli italiani è più che triplicata dal 2008 (da meno dell’8 per cento a circa il  25 per cento del pil a fine 2015) pur stabilizzandosi nel 2013. L’Unione bancaria è forse una delle innovazioni più importanti introdotte in Europa negli ultimi 15 anni. Avere avviato un sistema di vigilanza unico, e anche regole per la risoluzione ordinata delle banche in dissesto, è stato un passaggio fondamentale che dopo la creazione dell’euro andava fatto, come sottolineato dal compianto Tommaso Padoa-Schioppa. A tutt’oggi, però, questo processo di unificazione è un’opera incompiuta.

 

Mancano ancora due fondamentali tessere all’intero mosaico: il financial backstop, ovvero quel meccanismo in grado di arrestare l’onda d’urto di eventi sistemici eccezionali, e la garanzia unica sui depositi bancari. Quest’ultimo dossier si è arenato per l’opposizione della Germania, e degli altri paesi nordici, alla condivisione degli oneri per la tutela sui depositi prima che le banche dei paesi periferici non abbiano dismesso buona parte dai titoli di stato presenti nei loro portafogli. Per tutta risposta il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha dichiarato di essere pronto a mettere un veto su iniziative volte a introdurre un tetto al possesso di bond governativi nei bilanci bancari, richiamando invece all’esigenza di occuparsi del peso eccessivo dei derivati nei bilanci di alcuni istituti, come ad esempio Deutsche Bank.

 

Se la questione dei derivati è sicuramente meritevole di attenzione, magari sollecitando la Bce affinché conduca stress test più focalizzati su questi titoli, spesso tossici, non va però sottovalutata la questione del troppo peso dei titoli di stato negli istituti di credito dei paesi mediterranei. Le banche italiane spiccano al riguardo per avere nei loro portafogli l’esposizione più alta in titoli domestici. Nonostante le vendite registrate negli ultimi 12 mesi, Bot e Btp ammontano ancora a 390 miliardi di euro, con un incremento, rispetto al periodo precedente al default della Lehman Brothers, di oltre il 250 per cento. Questa predilezione degli istituti italiani per i titoli di Stato è tutt’altro che un vantaggio per la nostra economia. Le banche, quando lo spread Btp-Bund aveva raggiunto i picchi massimi nel 2012, hanno patito fortemente questa esposizione.

 

[**Video_box_2**]I mercati, infatti, erano spaventati da questo loro “abbraccio mortale” con i titoli della Repubblica italiana, che in quella fase rischiavano di seguire la stessa sorte dei titoli greci, irlandesi e portoghesi. Per tutta reazione le banche hanno bloccato l’erogazione del credito, utilizzando i finanziamenti straordinari ottenuti dalla Bce proprio per acquistare bond governativi e sfruttando in tal modo il vantaggio che la normativa di Basilea sui requisiti di capitale offre a questi titoli rispetto al credito erogato a famiglie e imprese. L’Italia è quindi caduta nella morsa del credit crunch, fenomeno che ha aggravato e prolungato la recessione degli anni passati. Un progressivo assottigliamento del portafoglio dei titoli governativi andrebbe quindi visto con favore, quanto meno per riportarsi sui livelli pre-crisi. Il contesto attuale appare essere oltretutto favorevole visto il piano di acquisti avviato dalla Bce (cosiddetto Quantitative easing), piano che dovrebbe tra l’altro rafforzarsi nei prossimi mesi. Le risorse ottenute dismettendo Bot e Btp potrebbero essere usate, almeno in parte, per riacquistare i bond bancari collocati presso i piccoli risparmiatori, proponendo eventualmente proprio un corrispettivo in titoli di stato. In definitiva, il governo Italiano dovrebbe favorire, piuttosto che osteggiare, un graduale alleggerimento del portafogli titoli delle banche. Se ne avvantaggerebbero le imprese, visto che le banche tornerebbero a fare le banche erogando prestiti invece di dedicarsi alla finanza, e i risparmiatori, che tornerebbero ad avere nei loro portafogli titoli di stato piuttosto che le poco redditizie e più rischiose obbligazioni bancarie. Inoltre, favorendo una soluzione a questo problema si potrebbe portare a conclusione l’intero progetto dell’Unione bancaria, fattore che garantirebbe maggiore tranquillità anche ai mercati finanziari europei.

 

 

Carlo Milani è economista, professore a contratto presso l’Università Roma Tre

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