Il presidente della Bce Mario Draghi (foto LaPresse)

Le nuove regole bancarie impensieriscono Italia e Germania

Alberto Brambilla
Non solo Roma invoca la revisione del “bail-in”, ora anche i banchieri tedeschi chiedono clemenza alla Bce.

Roma. Alla fine dell’anno scorso in pochi  pensavano che la nuova legislazione europea per risolvere le crisi bancarie, il “bail-in”, sarebbe diventata una delicata questione politica per i governi nazionali con ricaschi a catena sull’intero sistema bancario del continente. Il “bail-in” aveva ricevuto sostegno unanime dai governi europei nel 2014 e nei circoli finanziari brussellesi se ne discuteva da almeno quattro anni. Il “bail-in” intende addossare l’onere dei salvataggi bancari agli investitori privati delle banche – nell’ordine: azionisti, obbligazionisti subordinati e ordinari, correntisti con depositi oltre i 100 mila euro – e interrompere la discutibile prassi dei salvataggi bancari finanziati con 1,6 trilioni di euro dei contribuenti europei dal 2008 in avanti. 

 

Da più parti proviene la richiesta di ammorbidire il “bail-in”, nel gergo brussellese la “Bank Recovery and Resolution Directive”, o di ritardarne gli effetti per dare il tempo alle banche di adattarsi a un quadro regolatorio più severo. L’Italia, che non ha prodotto rilevanti salvataggi pubblici, solleva dubbi. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si è lamentato delle nuove regole dopo che, prima della piena entrata in vigore il 1° gennaio, erano state parzialmente usate a inizio dicembre nel salvataggio di quattro banche locali. Gli investitori di obbligazioni subordinate sono stati penalizzati e centinaia di persone hanno protestato in piazza – in Italia è stato permesso vendere questi strumenti anche a persone comuni e non solo a investitori istituzionali. Gli investitori in obbligazioni ordinarie sono stati invece risparmiati. Per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, le regole “aumentano l’instabilità anziché la stabilità”. La Banca d’Italia ha invocato una rivisitazione delle modalità e dei tempi. Economisti di diversa estrazione (Paolo Savona, Luigi Zingales, Luigi Guiso) ipotizzano una moratoria di 12-18 mesi prima che il “bail-in” possa avere piena efficacia.

 

La Germania, con il potente ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, aveva insistito per introdurre la norma secondo la quale nessun aiuto di stato è concesso prima che almeno l’8 per cento delle pendenze delle banche siano cancellate costringendo quindi gli obbligazionisti subordinati ed eventualmente i correntisti ad assumersi un rischio notevole. Tuttavia l’industria bancaria tedesca, seconda per aiuti di stato ricevuti (64 miliardi) dal 2008 al 2013 dietro al Regno Unito, non è dello stesso avviso della cancelleria. Alcuni banchieri, al pari del governo italiano, vorrebbero che la Banca centrale europea intervenisse per rallentare il passo della nuove regole che deprimono la profittabilità delle banche in un momento di tassi d’interesse al minimo storico e riducono i margini di guadagno. Il problema, spiegato da un manager al quotidiano Handelsblatt così come riportato dalla newsletter EuroIntelligence, è che gli investitori non sanno bene quale sia la loro posizione nella gerarchia dei creditori che rischiano perdite. E questa incertezza avrebbe motivato il tracollo dei titoli bancari in Borsa delle ultime settimane.

 

[**Video_box_2**]Il presidente della Bce, Mario Draghi, durante l’audizione davanti al Parlamento europeo di lunedì scorso ha detto che le banche europee sono più capitalizzate del 2012, che il grosso dei titoli delle banche è scambiato in Borsa per valori inferiori al valore contabile, e che la nuova regolamentazione ha reso più stabile il sistema bancario nel complesso. Draghi ha anche ricordato che le operazioni di salvataggio che hanno preceduto l’entrata in vigore ufficiale del bail-in “sono state attuate in modo diverso” in Italia (le quattro banche) e in Portogallo. “L’uguale attuazione delle regole nella zona euro dà ai creditori la certezza che saranno trattati nello stesso modo […] Parliamo tanto di Unione bancaria ma se non abbiamo trattamento eguale” questa Unione è solo sulla carta, ha detto. Il caso portoghese, citato da Draghi, è significativo. Il 29 dicembre la Banca centrale del Portogallo ha trasferito a sorpresa e in modo discrezionale 1,95 miliardi in sole 5 obbligazioni ordinarie su 52 totali dalla “good bank” Novo Banco alla “bad bank” Banco Espirito Santo. E’ un precedente pericoloso perché fino ad allora gli obbligazionisti ordinari si credevano al sicuro; l’operazione era necessaria per rafforzare Novo Banco a un anno dal processo di salvataggio iniziato nel 2014. Gli analisti di CreditSights si chiedono se la Banca del Portogallo abbia l’autorità legale per trattare in modo differente alcuni obbligazionisti rispetto ad altri. I gestori BlackRock e Pimco, grandi gestori di fondi, sono tra i più colpiti. “Non è chiaro se la Bce abbia appoggiato il piano ma il fatto che sia stato concesso di attivarlo dovrebbe allarmare chi fornisce liquidità e capitale al sistema bancario europeo”, aveva detto Philippe Bodereau, manager di Pimco, al Financial Times, minacciando azioni legali. La mina Novo Banco ha scatenato una pesante avversione al rischio verso le obbligazioni con cui le banche europee si finanziano e ha motivato l’inizio della caduta delle azioni in Borsa di queste settimane. Le grandi banche europee hanno perso il 25 per cento da gennaio. Secondo l’Associazione bancaria italiana, la raccolta di medio e lungo termine, quella tramite obbligazioni, è scesa a gennaio del 14,3 per cento, ovvero una diminuzione di 63,4 miliardi di euro su base annua. Tuttavia non solo di bail-in soffrono le banche. Per potenziare il meccanismo in parte garantito dallo stato necessario a liberare le banche dai crediti cattivi, l’Italia starebbe discutendo con la Bce affinché consenta alle banche di usare i prestiti non performanti cartolarizzati (Asset backed securities) come collaterale per ricevere fondi da Francoforte. Come la Germania vuole riconsiderare i nuovi precetti, così l’Italia chiede clemenza.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.