Così i dolori petroliferi dei sauditi stanno sfasciando l'Opec

Gabriele Moccia
Il petrostato è accusato dai partner di usare il cartello per sé. Ma montano grane interne e l’exit strategy asiatica non è facile

Roma. Se dalla conferenza sul petrolio di Abu Dhabi in molti hanno provato a lanciare segnali positivi sugli effetti futuri della strategia Opec, lo scenario del cheap oil continua a mettere in difficoltà i paesi produttori. Dal Golfo, sia il ministro dell’Energia degli Emirati, Mohamed al-Mazrouei, sia il segretario generale dell’Opec, Abdalla Salem El-Badri, hanno affermato che il mercato mondiale del greggio, nel 2016, dovrebbe essere più equilibrato e la domanda dovrebbe continuare a crescere. “L’aspettativa è che il mercato tornerà ad un maggiore equilibrio nel 2016: vediamo la domanda globale di petrolio mantenere la sua recente crescita e prevediamo un calo dell’offerta da parte dei paesi non Opec e un aumento della domanda di greggio dei paesi Opec”, ha precisato Badri. Mazrouei è stato un po’ meno ottimista e ha comunque parlato di “sofferenze” ancora da affrontare e superare.

 

I problemi del resto non mancano. Come segnala l’ultimo World Energy Outlook dell’Associazione internazionale per l’energia (Aie), quest’anno gli investimenti globali nel settore petrolifero si sono già ridotti del 20 per cento rispetto al 2014, per via del crollo delle quotazioni. Il rischio è che l’impatto dei bassi prezzi abbia presto influenza su altri settori delle economie dei produttori. Potrebbe essere presto il turno dell’Arabia Saudita. Secondo i dati del quotidiano locale Al Riyadh, proprio a causa del cheap oil, la crescita del credito nel Regno rallenterà sensibilmente nei prossimi due anni. L’uso del cartello dell’Opec come una sua depandace sta irritando gli altri membri. L’ex ministro dell’Energia algerino, Nordine Ait-Laoussine ha detto che è tempo di riconsiderare la partecipazione se i sauditi non hanno intenzione di reagire al ribasso dei prezzi ma coltivare i loro interessi, ha scritto il Telegraph. Il terreno sotto i piedi dei sauditi infatti sta scricchiolando. Il Regno ha le tasche profonde ma re Salman ha ordinato misure urgenti motivate dai minori proventi delle rendite da idrocarburi come il blocco delle assunzioni di dipendenti pubblici. Da vedere se verranno anche tagliati i sussidi sociali che fungono da calmante per la popolazione. L’Arabia Saudita soffre anche sul versante delle riserve. Lo scorso settembre, per l’ottavo mese consecutivo, quelle valutarie sono diminuite di 7,7 miliardi di dollari. Anche la notizia che il paese arabo sarebbe pronto a rientrare, dopo 15 anni, sul mercato internazionale dei bond, è un altro segnale negativo per la strategia dell’Opec.

 

[**Video_box_2**]Da Vienna, il ministro del Petrolio saudita, Ali Al-Naimi, non si è però mostrato particolarmente preoccupato. Il cartello sta, infatti, puntando tutto sulla domanda asiatica per continuare a piazzare le proprie quote di mercato. Secondo l’Opec, la richiesta di petrolio in Asia aumenterà di circa 16 milioni di barili al giorno entro il 2040. In questo modo gli arabi mirano anche a isolare ulteriormente gli Stati Uniti e a utilizzare come partner asiatico principale la Cina, soggetto driver della domanda futura di greggio, sempre secondo le stime Aie. Ma, al momento, proprio lo scenario del cheap oil, mantiene ancora forte l’interdipendenza economica tra gli Stati Uniti e Pechino. Il deprezzamento del greggio sui mercati ha portato, per la prima volta in assoluto, la Cina a diventare il primo partner commerciale degli Stati Uniti, superando il Canada. Insomma, la scommessa Opec rischia di traballare, visto che i cinesi hanno pure ripreso a investire sul petrolio non convenzionale americano, finalizzando di recente un deal da un miliardo e mezzo di dollari per acquisire asset energetici in Texas.

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