Bp si prepara a un petrolio "lower for longer" ammicando alla Cina

Gabriele Moccia
Il ceo Bob Dudley ha avvertito che i prezzi del petrolio, in drastico calo da eccesso di offerta da metà estate, continueranno a scendere e arriveranno a 60 dollari al barile nel 2017.

Roma. La terza trimestrale dell'anno di Bp, prima compagnia petrolifera britannica, ha battuto le stime degli analisti con un utile netto di 1,8 miliardi di dollari (le attese erano di 1,2 miliardi) grazie alla crescita dei profitti nel settore della raffinazione. Il ceo Bob Dudley ha tuttavia avvertito che i prezzi del petrolio, in drastico calo da eccesso di offerta da metà estate, continueranno a scendere e arriveranno a 60 dollari al barile nel 2017 contro i 101 dollari dell'anno scorso. Anche Bp – come altre compagnie petrolifere, si attendono i risultati di Exxon Mobil, Royal Dutch Shell, Chevron, Total – insomma si attrezza per quello che Paolo Scaroni, vicepresidente di Rothschild Group ed ex amministratore delegato di Enel e di Eni, ha definito su questo giornale un periodo di prezzi del greggio "lower for longer", più in basso più a lungo. Bp ha annunciato ulteriori tagli agli investimenti e nuove vendite di asset dopo aggressivi interventi in passato per via della riduzione del cash flow e dei costi derivanti dal disastro ecologico nel golfo del Messico del 2010, scrive Reuters.

 

Il nuovo corso del petrolio spinge le compagnie a cercare nuovi campi d'esplorazione, nuove tecnologie e nuove alleanze. La recente alleanza industriale tra la principale compagnia energetica britannica, la Bp e il colosso energetico nazionale cinese, China National Petroleum Corporation (Cnpc) ha dato il via ad una nuova caccia al tesoro, quella per intercettare, il prima possibile e prima di tutti, il possibile boom legato allo sviluppo dello shale gas (gas da scisti) e del tight oil (petrolio non convenzionale) in Cina. Nonostante il rallentamento economico, che ha spinto in questi mesi la produzione di gas naturale verso i minimi, Pechino ha deciso di lasciare invariato l'obiettivo di produzione dello shale gas. La chiave è la politica di sussidi pubblici che si sono riversati in questi anni per portare avanti le attività esplorative. Lo scorso aprile il Ministero delle finanze aveva aumentato gli aiuti portando – per il periodo 2016-2018 – a 0,49 centesimi di dollari per ogni metro cubo di shale gas prodotto. Alcuni report parlano di un esborso per le casse del governo di quasi 112 miliardi di dollari entro il 2018. Cifre che andranno a diminuire nel biennio 2019-2020, momento in cui le autorità cinesi hanno pianificato di ridurre il volume di sussidi a 0,24 centesimi di dollari.

 

Per adesso, però, molte compagnie sono spinte a chiudere stabilimenti di gas convenzionale – da inizio 2015 la società di Stato Sinopec ne ha chiusi dodici – per riorientare i propri investimenti sul gas da scisti. La provincia del Sichuan si conferma il crocevia di questa nuova corsa all'oro. Ancora qualche settimana fa, l'altra compagnia nazionale, la PetroChina, ha annunciato la scoperta di tre nuovi giacimenti di shale con riserve pari a 163 miliardi di metri cubi. Sempre la Sinopec, ha, poi, recentemente aumentato la produzione di uno dei giacimenti più promettenti, quello di Fuling. Dietro le nozze tra Bp e la Cnpc vi è la convinzione degli inglesi che, entro il 2035, la Cina diventerà il secondo produttore mondiale di gas da scisti dopo gli Stati Uniti. Infatti, secondo uno studio della compagnia britannica per quell'anno Cina e Stati Uniti avranno raggiunto l'85 della produzione totale. La Cnpc, tra i giganti energetici della repubblica popolare, è quella che ha più investito sullo sviluppo di queste fonti di gas alternative. I suoi sforzi, hanno segnato un nuovo traguardo a maggio scorso, con l'annuncio della scoperta di un maxi giacimento di tight oil nella provincia interna dello Shaanxi, con riserve stimate in cento milioni di tonnellate, che lo rendono il maggiore mai scoperto in Cina, e in grado di produrre fino a 700 mila tonnellate di petrolio all'anno. Più in generale, con l'accordo siglato in queste settimane, Bp punta a sfruttare al massimo la propria presenza in Cina.

 

[**Video_box_2**]Una presenza strategica perché, ad esempio, gli inglesi controllano alcuni dei terminal gasieri dove viene spedito in giro per il mondo il gas di Pechino, che conviene anche ai cinesi visto che, dopo essersi liberata dal fardello della mega multa per l'incidente della DeepWater Horizon, Bp è ora un soggetto finanziario certamente più stabile rispetto alle compagnie cinesi (che vivono forti turbolenze) e può  meglio sostenere la corsa cinese allo shale con investimenti di medio-lungo periodo. Il presidente cinese Xi Jinping è, poi, sottoposto internamente ad un fuoco di fila sempre crescente circa le ricadute ambientali delle esplorazioni energetiche che le sue compagnie stanno portando avanti. Alleandosi con Bp (che ha da poco varato un corposo piano green e si è impegnata, insieme alle altre 9 major del petrolio, ad una ulteriore riduzione dei gas serra nell'ambito dell'Oil and Gas Climate Inititative), il governo cinese mira a depotenziare il fronte ambientalista, anche attraverso campagne di controinformazione. In questo senso, a Pechino è molto apprezzato il lavoro che sta svolgendo in questi anni la Task Force on Shale Gas, voluta dal premier Cameron proprio per studiare il rapporto tra esplorazione e ambiente.

 

Il gruppo di lavoro, guidato da Lord Smith, ex presidente dell'Agenzia inglese per l'ambiente, è in prima linea nel braccio di ferro che alcune amministrazioni locali inglesi hanno messo in campo per bloccare i progetti legati all'estrazione del gas mediante il fracking (la fratturazione idraulica delle rocce), come quello che sta avvenendo in queste settimane nel Lancashire. Secondo un recente documento dell'organizzazione guidata da Lord Smith, lo shale gas non dovrebbe essere considerato negativamente a priori, ma, al contrario, potrebbe rappresentare una valida alternativa al carbone e una soluzione ponte in vista di un futuro a ridotte emissioni. Il report è finito sulla scrivania pechinese di Jiang Daming, l'attuale ministro delle risorse naturali della repubblica popolare, riferiscono dai circoli diplomatici.
 

 

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