Il presidente del Fmi, Christine Lagarde, con il presidente della Bce, Mario Draghi (foto LaPresse)

L'ossigeno della Bce

Marco Valerio Lo Prete
I correntisti greci in fuga. Draghi tiene in vita le banche, ma Atene diventa una “cash economy”- di Marco Valerio lo Prete

Roma. 2 giugno, 10 giugno, 17 giugno, 19 giugno e infine 22 giugno. E’ già accaduto cinque volte in questo mese – l’ultima volta appunto lunedì – che il Consiglio direttivo della Banca centrale europea decidesse di fornire liquidità d’emergenza alle banche greche. Il ritmo di utilizzo del meccanismo chiamato Ela, che sta per Emergency liquidity assistance, è diventato dunque frenetico. Esattamente come frenetico, negli ultimi giorni, è diventato il deflusso di depositi dalle banche greche. In sintesi: i soldi escono dalle banche di Atene, per volontà di privati cittadini e imprese che negli ultimi giorni sono diventati più che scettici sulla possibilità di un accordo tra il governo e i creditori internazionali; ma poi fortunatamente i soldi rientrano nelle stesse banche perché Draghi e colleghi, a maggioranza, danno fiducia a quegli stessi istituti di credito. Lunedì il presidente della Bce, incontrando il premier greco Alexis Tsipras a tu per tu prima che questi vedesse gli altri capi di governo, avrebbe fatto ben presente questa situazione. In gergo tecnico si dice che la Bce agisce da “prestatore di ultima istanza”; in termini più politici, secondo gli analisti, la Bce da mesi dètta i tempi delle trattative grazie alla modulazione di questo “rubinetto” di liquidità. Le cifre in ballo sono considerevoli: i depositi nelle banche greche, che prima della crisi raggiungevano 240 miliardi di euro, sono scesi oggi attorno a quota 120 miliardi di euro; con un brusco calo dopo i primi sondaggi pre elettorali che a dicembre fecero presagire nuova instabilità politica (con un deflusso di addirittura 5 miliardi di euro solo nella scorsa settimana). Contemporaneamente, ritocco dopo ritocco, la Bce sarebbe arrivata a compensare il deflusso iniettando fino a 87,8 miliardi attraverso l’Ela (i numeri sono solo ufficiosi).   

 

Gli analisti della banca inglese Barclays hanno ricostruito i flussi di liquidità in uscita dalle banche greche. Come si evince dal grafico qui sotto, a fronte di depositi in uscita per 29 miliardi di euro tra il novembre 2014 e l’aprile 2015, le banconote in circolazione nel paese sono aumentate di 13 miliardi di euro. “La Grecia sta diventando una ‘cash economy’. Dallo studio dei bilanci dei quattro principali istituti di credito, emerge che una piccola parte dei depositi è direttamente trasferita all’estero, una parte utilizzata per acquisti e investimenti, ma la parte maggiore, circa la metà, viene ritirata in banconote”, dice al Foglio Giuseppe Maraffino, analista per Barclays a Londra. La Bce finora ha fornito liquidità d’emergenza alle banche in cambio di garanzie e collaterali adeguati, cui è applicato un haircut medio del 48 per cento.



[**Video_box_2**]Ciò vuol dire che per ogni 100 miliardi di collaterale fornito in garanzia alla Bce, le banche elleniche ottengono in media 52 miliardi di liquidità. In Barclays stimano che alle condizioni di oggi le banche greche hanno collaterale sufficiente per ottenere altri 32 miliardi di liquidità via Ela. Proprio lunedì, però, Ewald Nowotny, governatore della Banca centrale austriaca e consigliere Bce, ha detto che le condizioni attuali dell’Ela “valgono per oggi” e potrebbero essere riviste in caso di ulteriori ritardi nei negoziati. Se aumenta l’haircut richiesto dalla Bce, diminuisce la liquidità potenziale disponibile per le banche elleniche: “In caso di mancato accordo, Atene diventerebbe un cliente ancora più rischioso. Perciò la Bce sarebbe tecnicamente costretta a diventare più esigente”, dice Maraffino. Tra poche ore, dunque, la Bce potrebbe ridurre il suo aiuto per contrastare il deflusso dai depositi. A quel punto, il blocco dei capitali diventerebbe l’unico mezzo a disposizione per non far collassare gli istituti. Lunedì Draghi lo ha spiegato a Tsipras. Il prestatore di ultima istanza di Francoforte non può credere all’infinito a un governo di cui nemmeno i cittadini si fidano troppo.