I pensionati, un'ossessione italiana

Marco Valerio Lo Prete
Pensioni, pensioni, pensioni. La riforma Fornero del 2011 è stata una delle più radicali degli ultimi anni. Riforma fatta, capo ha? No. Dall’inizio della crisi, il dibattito di politica economica non fa altro che continuare a girare, in un modo o nell’altro attorno ai pensionati.

Roma. Pensioni, pensioni, pensioni. La riforma Fornero del 2011 è stata una delle più radicali degli ultimi anni. Riforma fatta, capo ha? No. Dall’inizio della crisi, il dibattito di politica economica non fa altro che continuare a girare, in un modo o nell’altro attorno ai pensionati. Da ultima ci si è messa la Consulta, ovvio, con la sua decisione di dichiarare incostituzionale per due anni il blocco dell’adeguamento all’inflazione. Infine, ieri, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha certificato che allo studio per la legge di stabilità c’è un meccanismo “per dare libertà in più” di andare in pensione prima “se accetti di prendere un po’ meno”. E il dibattito continua, anche se dati convergenti – di Banca d’Italia, Nens, Ocse, ecc. – dicono che i pensionati tutto sono tranne che il gruppo di italiani più colpito dalla crisi. Perché, dunque, questa ossessione? 

 

Dice al Foglio Giuliano Cazzola,  già dirigente generale del ministero del Lavoro, ex parlamentare Pdl e Scelta civica, ora del Nuovo centrodestra: “Saremo un paese di anziani, ma non è scritto da nessuna parte che i diritti dei pensionati sono più sacrosanti di quelli degli altri cittadini”. La platea degli interessati dallo stop alla perequazione della Fornero è di 5 milioni di persone, quelli con la pensione da 1.450 euro lordi, su 16,5 milioni complessivi. “Per assurdo, questa minoranza oggi trova una difesa d’ufficio proprio tra gli impalatori delle pensioni d’oro, Lega e M5s, in opposizione al governo Renzi che non è nelle mie simpatie ma ha oggettivamente dimostrato di fregarsene di uno dei vecchi riti sacri della sinistra, dando un argomento d’attacco agli avversari in campagna elettorale per le regionali, contesto dove verrà giudicato”. Secondo Cazzola, “i cittadini però hanno capito che era impossibile pagare tutti e non penso siano obnubilati dall’immagine mediatica del pensionato macilento che rovista nei cassonetti offerta dai telegiornali: le telecamere non riprendono mai i pensionati in crociera, ce ne sono parecchi. I difensori della perequazione per tutti e subito dimenticano che il mitico tesoretto da 2 miliardi di euro, ipoteticamente destinato all’inclusione sociale e lotta alla povertà, è stato dirottato dopo la sentenza. Non si dica quindi – e in questo caso, purtroppo, ne abbiamo ulteriore prova – che in un periodo di crisi i diritti previdenziali sono i soli a essere messi in discussione”. Per Mario Baldassarri, economista e già viceministro delle Finanze del centrodestra, “il dibattito mediatico è surreale se si vuol parlare del sistema pensionistico. Applicare parzialmente la sentenza viene chiamato ‘bonus’ dal governo, mentre il rimedio trovato da Renzi viene criticato pure da chi ha votato la riforma Fornero. Si discute da vent’anni ma neanche oggi si arriva al punto: il nodo strutturale è stato affrontato nel 1995 con la riforma Dini che ha introdotto il sistema contributivo”, cioè il calcolo dell’assegno pensionistico in base ai contributi versati, ma “è stato applicato in modo parziale, solo per gli assunti dopo la data di entrata in vigore”. Così il sistema retributivo, quindi il calcolo in base agli ultimi stipendi incassati, riguarda il 90 per cento della platea dei pensionati, l’ultimo andrà in pensione nel 2031.

 

Continua Baldassarri, presidente del Centro studi Economia reale: “Per smetterla di parlare solo di pensionati, urge una soluzione più radicale: l’adeguamento all’inflazione per tutti, secondo sentenza, ma contestualmente il ricalcolo delle pensioni secondo il metodo contributivo. Renzi ha ragione a dire che le critiche sono paradossali ma ha torto a non cogliere questo problema e a non trovare i soldi per gli adeguamenti tagliando la spesa quando nel Def sono previsti 132 miliardi in spesa per forniture alla Pa e 36 di stanziamenti a fondo perduto”.

 

Riccardo Puglisi, economista all’Università di Pavia e responsabile per le politiche economiche di Italia Unica, insiste: “La sentenza della Consulta dal mio punto di vista è statalista nel senso che cerca di spingere verso l’alto la spesa pensionistica e purtroppo il rischio che intravedo, una specie di pillola avvelenata, è che si produca un attacco ingiustificato alla riforma Fornero da parte dell’ala filosindacale del Pd quando in questi giorni sento parlare di uscita flessibile dal mercato del lavoro, ovvero di mandare in pensione gli anziani come unico modo per immettere giovani”. Per l’economista, è in corso “una campagna mediatica assurda contro la legge Fornero che invece non va assolutamente toccata”. Semmai anziché gonfiare la richiesta di contributi e tasse per pagare le pensioni, la classe politica dovrebbe occuparsi d’altro: “Occorre trovare risorse aggiuntive, grazie a una revisione della spesa strutturale sul modello anglosassone perché la cosa migliore per i giovani lavoratori, aspiranti tali, e per i professionisti, è che si taglino le tasse e ripartano gli investimenti, oggi intimiditi dall’incertezza fiscale”.

 

[**Video_box_2**]Francesca Pesce, vicepresidente di Acta, associazione che aggrega lavoratori autonomi e professionisti del terziario avanzato, con i suoi colleghi su Twitter ha parlato di #SceltaInConsulta per definire la sentenza della Corte costituzionale. “Il nostro non è un sistema di finanziamento delle pensioni a capitalizzazione, ma a ripartizione. E se i nostri contributi sono utilizzati per pagare le pensioni in essere, ecco che la rivalutazione voluta dalla Consulta la paghiamo noi, via ulteriori contributi o imposte, e non un Principe che non esiste”. Per la Pesce, traduttrice di professione, “i pensionati sono ancora oggi la categoria più rappresentata e in maggior connessione con partiti e sindacati classici, Pd renziano incluso. Perciò da anni, in un paese in crisi produttiva, con imposte vessatorie sul lavoro autonomo e un welfare squilibrato che non tutela i più giovani, parliamo sempre e comunque di pensioni. O meglio: dei pensionati attuali, che già a quelli di domani non pensa quasi più nessuno”, conclude.

 

 

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