Smartphone a scuola: perché dovremmo insegnare ai nostri figli a non rispettare le regole?

Alessandro Giagnoli

L'età minima per registrarsi sui principali Social Network è di 13 anni, se questo non avviene è una colpa e non dovrebbe neanche essere elemento di discussione per un Ministro della Repubblica.

Da qualche settimana si fa un gran parlare dell'iniziativa del Ministro Fedeli all'utilizzo degli smartphone a scuola, indicandoli come necessari per una presunta "natura del digitale che cambia i comportamenti". Ma in molti criticano questa scelta proprio perchè la direzione di questi cambiamenti non è per nulla chiara.

Ma ci sono dettagli che in questo dibattito sono sfuggiti e mi sembra una dimenticanza decisamente importante.

Tutti i Social Network principali chiedono - ma non possono intervenire per verificarlo - che gli utenti abbiano 13 anni compiuti. Questo significa che almeno fino alla terza media, nessuno studente potrebbe avere un proprio account sui social. E se lo hanno, la colpa è dei genitori. Colpa e non concessione o segno di estrema bontà verso i propri figli.

E' una regola, un obbligo che pur se non vagliato, resta tale. Che il ministro dell'istruzione passi oltre ad un obbligo che impongono gli strumenti stessi che vuole far adottare ai nostri figli, ha qualcosa di profondamente sbagliato.

Per educare al digitale, credo che sia necessario prima di tutto educare il rispetto, anche delle regole che il digitale - oltre al buon senso - richiede. Tralasciando dunque tutti gli aspetti più pericolosi che possono essere presenti nei social network e il web intero.

Vedo compagni di classe dei miei figli con smartphone connesso a internet che navigano senza un minimo di filtro da parte di adulti, questo non è educarli al digitale, questo è dargli un oggetto per farli star fermi, per toglierseli dai piedi per le continue richieste, farli smettere di piangere a tavola quando vogliamo conversare con i nostri commensali. Poteva funzionare con i giocattoli, ma avere una finestra aperta sul mondo, non è da considerare l'ennesimo giocattolo.

Tornando invece alla modalità di approccio al digitale,  elaborato dal Miur e dal ministro, interessanti sono le considerazioni emerse nell'intervista ad Alberto Contri, professore dell'Università Iulm, pubblicata in questi giorni su Keybiz, nel quale afferma come "non vi trovo nemmeno una minima eco del crescente numero di ricerche realizzate in tutto il mondo, che dimostrano come gli effetti collaterali dell’uso del cellulare in classe (ma anche dei computer) ne superano di gran lunga i benefici." e continua: "Del resto si è scoperto recentemente che tutti grandi del web, da Steve Jobs a Bill Gates, hanno tenuto lontano il più possibile i propri figli da questi mezzi."

Non mancano, nell'intervista, riferimenti anche agli aspetti neurologici di un approccio a questi strumenti digitali nello sviluppo delle capacità cognitive dei bambini. E non sono positivi.

Ogni genitore sa quanto sia faticoso oggi resistere alle continue richieste da parte dei nostri figli, nell'omologarsi al branco o al trend, verso l'acquisto di uno smarphone tutto per loro o l'uso dei social, ma credo che sia necessario adottare quei no che aiutano a crescere (*).

 * "Per paura di frustrarli, i genitori spesso rinunciano a educare i figli a riconoscere i confini tra l'io e il mondo, a controllare gli impulsi, a dominare l'ansia, a sopportare le avversita. Nelle famiglie si creano cosi situazioni di disagio per la semplice incapacita di dire un no." Così scrive in quarta di copertina Asha Phillips, psicoterapeuta infantile statunitense nel suo libro: "I no che aiutano a crescere" edito da Feltrinelli.

Di più su questi argomenti: