Elémire Zolla - foto via Getty Images

La storia

E poi, il diavolo. La fiera inattualità di "Minuetto all'inferno", l'esordio esoterico di Elémire Zolla

Matteo Moca

Una vicenda editoriale insolita del libro dello scrittore e filosofo torinese: sin dalla sua pubblicazione, il testo è sempre stato di difficile catalogazione, cosa che ne ha contribuito al suo successo

Prendendo a campione alcuni risvolti (“un’umile e ardua forma letteraria” secondo Calasso) di libri appena pubblicati, non sarà difficile imbattersi in formule che sottolineano “l’unicità” del libro o “l’originalità” dei temi e dello sguardo dell’autore. Eppure ci sono dei casi in cui il risvolto sembra remare contro il libro, spia di un’insofferenza che invita a indagare il clima e i rapporti di forza del mondo letterario. Perché se il risvolto, sempre secondo Calasso, “offre [all’editore] l’unica occasione per accennare esplicitamente ai motivi che lo hanno spinto a scegliere un certo libro”, la vicenda editoriale di Minuetto all’inferno di Elémire Zolla, ripubblicato da Cliquot, rivela molti aspetti interessanti. Il romanzo dell’esordiente Zolla, che presto si dedicherà alla filosofia e agli studi sulla religione e la mistica, uscì nel 1956 nella collana einaudiana “I Gettoni” diretta da Elio Vittorini, una collana animata da una forte impronta personale e che offre un catalogo riconoscibile che accoglie tra gli altri Il visconte dimezzato di Calvino e Il sergente nella neve di Rigoni Stern.
 

Nell’Einaudi di quegli anni le scelte passavano al vaglio di redattori e consulenti diversi e si scatenavano dibattiti che in alcuni casi lasciavano tracce nei risvolti di Vittorini: è il caso di La malora di Fenoglio (dove Vittorini esprime riserve sullo stile dello scrittore di Alba), ma lo è soprattutto di Minuetto all’inferno di Zolla, un romanzo dalla forte carica esoterica che non risponde alle forme memorialistiche o alle declinazioni del neorealismo che abitano molti titoli gettoniani. “Non so, francamente, che cosa valga questo romanzo ‘satanico’ di Zolla” si legge nel risvolto in cui Vittorini confessa anche la difficoltà nel “gustare e persino intendere” un certo “filone di letteratura che mi riesce inesplicabile: quello in cui si avverte, deliberata, l’azione speculativa dell’intelletto”, mentre negli scambi con altri redattori Vittorini è, come ricostruisce Grazia Marchianò nella prefazione, ancora più categorico: “Lo Zolla è solo cupamente fantasticante: un incubo puramente libresco. Non abbiamo mai pubblicato un libro tanto brutto e arcaico, presuntuoso e inattuale, cervellotico e ingiustificato”. Ma cosa aveva di così problematico Minuetto all’inferno?
 

Anche se ammantato da una sperimentazione linguistica (come testimonia la presenza di registri diversi e l’oscillazione tra dialetto e un italiano adamantino) e strutturale (i primi otto capitoli dove si alternano le storie dei protagonisti innamorati Lotario e Giulia in una Torino fascista e diabolica) solidale con i “Gettoni”, l’improvvisa irruzione del diavolo dentro la storia, incipit di un nuovo e più folle romanzo, deve essere sembrato troppo (“il malvagissimo signore decise di vedere come diamine se la cavassero i personaggi della presente storia”): da questo momento infatti Torino diventa il palcoscenico di una corsa magica, tra fattucchieri, lascivia, scimmiottamenti dell’ordine fascista e uno scontro tra Cielo e Inferno, una sorta di Sottosopra inquietante della città sabauda. L’impressione, a tanti anni dalla prima edizione, è che Minuetto all’inferno costituisca ancora oggi un oggetto fieramente inattuale (“ha una qualche validità realistica, una sua storicità?” si chiedeva non a caso Vittorini), un romanzo che si nutre della carica oscura offerta dall’ambientazione torinese che farà da sfondo alla storia sanguinosa di “Profondo rosso” o al romanzo paranoico e spaventoso di Giorgio De Maria Le venti giornate di Torino. Un libro certamente di difficile sistemazione nel piano editoriale di Vittorini, un monstrum che impressiona ancora oggi.

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