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La recensione

Arrivare e partire. Quell'innata attrazione dell'uomo per il viaggio

Alfonso Berardinelli

"Viaggi, incontri, scoperte". Quello di Franco Brevini è un libro sull’andare oltre la lontananza, sull'evoluzione del viaggiare che oggi trova la sua sintesi in tre figure: il turista, il vagabondo e il migrante

Per un caso piuttosto sorprendente, proprio il giorno in cui è stato qui pubblicato il mio precedente articolo sulla nausea del viaggiare e la sua vanità, ho ricevuto un libro in lode del viaggio, dell’andare via. Nel primo caso ero stato ispirato dal libro dell’antropologo Vito Teti sulla “restanza”. Nel secondo caso mi vedo ora quasi costretto a riflettere da un libro di Franco Brevini, anche questo fondamentalmente autobiografico benché documentatissimo. Ho ammirato lo spirito e la competenza di Vito Teti come ora ammiro competenza e spirito di Brevini, docente di Letteratura all’Università di Bergamo, ma che potrebbe anche lui insegnare antropologia e storia dell’andare verso un altrove, come mostra questo suo libro La conquista della lontananza. Viaggi, incontri, scoperte (il Mulino, pp. 343, euro 19). 


Brevini nelle ultime pagine della sua sterminata panoramica che ci fa viaggiare nel viaggiare, suggerisce che noi umani siamo come Giano bifronte: arriviamo e partiamo, stiamo fermi e ci muoviamo, siamo divisi tra un qui e un altrove. Ho deplorato me stesso di fronte a chi mi ha fatto capire il valore del restare dove si vive. Ora mi vergogno di aver viaggiato poco (anche se abbastanza per i miei gusti). L’introduzione di Brevini al suo libro si apre con queste parole: “In una luminosa mattinata di giugno stavo risalendo con gli sci il ghiacciaio che dall’altopiano dell’Inlandsis scende verso il fiordo di Nagtiviit, in Groenlandia”. L’autore dice poi di essersi sentito perso in un labirinto, una sensazione che più tardi ha provato di nuovo nel momento in cui si è messo a scrivere il suo libro sul viaggiare, che va da Erodoto e prima fino all’attuale turismo super organizzato, due estremi che rovesciano l’avventura nel suo contrario.


Il nostro turismo è infatti una manipolazione azzerante di quello che nel corso di un lunghissimo passato fu il viaggiare. Il turista di oggi lascia il suo dove sociale per sottrarsi alla sua routine e alle sue regole, ma lo fa turisticamente nel modo e con i mezzi prodotti dal proprio ambiente abituale. Così la vicenda di chi parte alla “conquista della lontananza” riproduce e rispecchia la forma di vita da cui si è creduto di evadere. Leggendo il libro si vede che il viaggiare ha accompagnato l’intera storia dell’umanità: poteri e bisogni, idee e accumulo di conoscenze, aspirazioni e inquietudini, sete di ricchezza, sogni di benessere e di felicità. La svolta più radicale nella vicenda dell’andare oltre alla ricerca di altro è forse quella che si verifica tra fine Settecento e Ottocento, tra cultura illuministica (ragione, enciclopedismo, utopie pragmatiche) e cultura romantica. I due contrapposti tipi umani di viaggiatore che si alternano sono l’esploratore che vuole sapere e scoprire, e il sognatore che vuole emozionarsi. Con le origini dell’io moderno, il viaggiare si soggettivizza. Come nelle arti e nella morale, il sapiente di origine classica è sostituito dal genio romantico che si esprime e crea scendendo nel fondo di se stesso. Prima del turista di massa, che nasce nel Novecento e viaggia con il baedeker in mano c’è il nomade romantico, qualcosa fra il dandy e il flâneur che va in giro o gira il mondo sognando se stesso, per il quale i paesaggi visibili valgono se fanno fantasticare sui propri paesaggi interiori, in una specie di distrazione creativa.


Oggi sembra arrivata la sintesi fra tre figure: a) il turista che è più massa che individuo e in massa viaggia secondo regole prestabilite; b) il vagabondo in fuga dalla società e in cerca del suo “vero Sé”, per il quale il viaggio è una specie di sedativo o di allucinogeno; e infine c) il migrante che parte in stato di assoluta necessità rischiando la vita in cerca di una vita anche solo possibile. Queste minime divagazioni personali non sono che un invito al libro di Brevini: dove si trova abbondante materia per riflettere sull’andare via verso la lontananza senza escludere le partenze che in realtà sono ritorni a una patria mentale di cui si sente la mancanza.
 

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