La recensione

Riordinare la percezione deviata dei nostri istanti di vita. Un libro

Iuri Moscardi

Nel saggio "Salvare il Tempo", tradotto da Raffaella Menichini, l'autrice Jenny Odell ci sfida a ripensare il nostro concetto di tempo, spazzando via le convenzioni dell'orologio che si sono impadronite della nostra esistenza a partire dal XX secolo

La casa editrice indipendente NR ci regala sempre libri che sono cibo per il pensiero, come direbbero gli americani: non a caso, tutti i suoi titoli sono traduzioni di autori Usa. Ognuno dei suoi saggi si rivela un utile strumento per riflettere, ponendoci davanti alla sfida di cambiare la prospettiva dalla quale guardiamo il mondo. Una sfida difficile perché ci mostra come il nostro sguardo adotti spesso una visione univoca per pigrizia intellettuale o perché altri interessi, in primo luogo economici, si impadroniscono di noi. In Salvare il tempo. Alla scoperta di una vita oltre l’orologio (magistralmente tradotto da Raffaella Menichini), Jenny Odell non è da meno. Anzi, ci pone davanti a una sfida così insormontabile da apparire impossibile: ripensare il nostro senso del tempo. Siamo così abituati a misurare il tempo in un solo modo che ci sentiamo come i pesci di quel testo di David Foster Wallace, così abituati a stare nell’acqua da non saperla riconoscere. Nel nostro caso, l’acqua è il tempo e la sua misurazione: un giorno è per noi un concetto astratto, diviso in ventiquattro unità omogenee a loro volta divise in sessanta unità omogenee e così via. Un concetto che Odell prende a picconate ricordandoci innanzitutto che si tratta di una misurazione divenuta invasiva in tutto il mondo solo nel XX secolo, introdotta per soddisfare l’interesse economico di pochi, ritenuto il valore cardine della società capitalistica da metà Ottocento in poi.
 

Il tempo è denaro al punto che, da bravi capitalisti, è giusto che solo l’orologio lo misuri in modo astrattamente esatto, soppiantando altri sistemi di misurazione del tempo utilizzati da secoli e molto più concreti perché basati sul ritmo della natura (Stonehenge, le meridiane, il tempo del raccolto). Senonché, quella che nasce come imposizione è diventata la norma, interiorizzata e passivamente accettata da una maggioranza privata di alternative. Il punto è che questo tempo misurabile (il chronos lineare) ci spinge a inseguire un continuo domani attraverso un percorso che per noi non può che essere lineare. Ma la realtà del mondo, fino al XIX secolo, è stata diversa: l’uomo sentiva maggiore contatto con la natura e gli umani perché si basava su una diversa idea di tempo, il kairos, meno astratto e più soggettivo. Il più grande dramma della nostra storia recente, il Covid, non ha fatto altro che evidenziare la crisi e l’angoscia che tutti abbiamo sentito quando, tolti a forza dal contesto normale delle nostre vite, ci è sembrato di non avere più contatto col tempo. E questo perché il tempo astratto e misurabile dell’orologio è stato introdotto per contabilizzare la produzione dei salariati, e si è diffuso a tal punto che ormai noi occidentali non possiamo concepire il tempo se non in funzione del fare qualcosa.
 

Ci viene in aiuto Odell, il cui primo libro si intitola non a caso How to Do Nothing (Come non fare nulla), proponendoci moltissimi spunti pratici per riconsiderare il tempo mettendo al centro noi e il nostro rapporto con ciò che ci circonda, riscoprendo dunque il vero significato che il trascorrere della vita può avere. È difficile ma allo stesso tempo banale dirlo, ma basta cambiare la nostra prospettiva per accorgerci di quanto innaturale e malsano sia lasciarci dominare da un tempo che non ci appartiene e, soprattutto, che va sempre a vantaggio degli altri. Non c’è nulla di sbagliato, come millenni di storia dimostrano, a rimettere al centro noi e – soprattutto – a riposare, dedicandoci a un ozio che è rigenerante solo quando si estranea dalla mentalità capitalista e neoliberista. 

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