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il racconto

I tormenti della bomba nazista

Roberto Volpi

Era Heisenberg il capo segreto degli scienziati del Reich? Gli indizi in un colloquio con il suo maestro Niels Bohr

"Se conosciamo in modo preciso il presente, possiamo prevedere il futuro”. Di questa affermazione, dice Heisenberg, “non è falsa la conclusione, bensì la premessa”. Infatti “in linea di principio noi non possiamo conoscere il presente in tutti i suoi dettagli”. Ecco, in parole povere è questo il succo del suo principio di indeterminazione. Che, partendo dalla fisica ch’è la sua culla, suona pressappoco così: se di una particella elementare conoscete la velocità non potrete conoscerne, al tempo stesso, la posizione; mentre se ne conoscete la posizione non potrete conoscerne, né potrete pensare di ricavare, la velocità.


Nato nel 1901, Werner Karl Heisenberg espose il suo principio di indeterminazione già nel 1927. Nobel per la fisica ad appena 31 anni, Heisenberg è con il danese Niels Bohr, che gli fu maestro, il padre della teoria dei quanti. Precocissimo, geniale, Heisenberg fu certamente il fisico di maggior valore, e di più alta levatura internazionale, della cosiddetta “Lega dell’Uranio” (Uranverein). Alla fine del 1938, poco prima di Natale, a Berlino, Otto Hahn e il suo assistente Fritz Strassmann riuscirono nella straordinaria impresa, ritenuta da tutti impossibile, di suddividere in due l’atomo dell’uranio bombardandolo con neutroni di radio. Ma la massa delle due metà non dava come somma la massa dell’atomo di partenza: una piccola parte del nucleo scisso, accertarono i due scienziati, era stata convertita in energia, in una grande quantità di energia. Era nata la fisica atomica. E la fisica atomica, con Hitler al potere e la Germania impaziente di conquistare l’Europa, non era destinata a rimanere sul neutrale terreno della teoria, era destinata a farsi bomba atomica. La Lega dell’Uranio, che nacque subito dopo, non poteva che porsi l’obiettivo di verificare come e a quali condizioni la scoperta di Otto Hahn si sarebbe tradotta in un’arma così micidiale da assicurare la vittoria al Terzo Reich. 


Basta la partecipazione alla Lega dell’Uranio per dire che Heisenberg fu un nazista convinto che voleva la bomba atomica per vincere la guerra? Fedele, sembra quasi di poter dire, al suo principio di indeterminazione, Heisenberg ci ha lasciati con non pochi interrogativi al riguardo.  Al processo di Norimberga, il 30 luglio 1946 Wolfram von Sievers, responsabile dell’Ahnenerbe, l’associazione fondata da Himmler per la ricerca delle origini della razza ariana che approdò a risultati ben più esoterici che concreti, accennò di sfuggita, prima di essere giustiziato, a Klingsor: il nome in codice di colui che, a sentir lui, decideva la politica scientifica del Terzo Reich. Un nome consegnato all’indeterminatezza, appunto. Gruppo o persona singola, intanto? Jorge Volpi, romanziere e saggista messicano, nel suo “In cerca di Klingsor”, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2000, arriva, in base a rigorose fonti storiche, alla conclusione che il malefico Klingsor, responsabile della politica nucleare nazista pronto a sterminare i nemici del Reich, è proprio lui, il solo all’apparenza mite Werner Heisenberg, che Giorgio Galli nel suo “Hitler e il nazismo magico” definisce “un fisico impegnato a svelare i misteri dell’universo e nello stesso tempo un buon tedesco, nazionalsocialista convinto, che non esita a progettare per Hitler armi di distruzione di massa”.Rainer Karlsch, autore di uno splendido e documentatissimo “La bomba di Hitler”, uscito in Germania nel 2005 e nel 2006 in Italia da Lindau, è dello stesso parere, ma con molti dubbi in più. Annota infatti che “dopo l’estate del 1941 Heisenberg e Weizsäcker non diedero più alcun contributo scritto alle ricerche del progetto uranio”. 

E l’estate del 1941 è il momento, subito dopo l’invasione dell’Unione sovietica da parte delle potenze dell’Asse iniziata domenica 22 giugno 1941, in cui Hitler e il Reich sono all’apice della loro potenza conquistatrice e le sorti della guerra sembrano già segnate in favore della Germania. Momento davvero curioso per scegliere, da parte dei fisici più rappresentativi dell’Uranverein, il silenzio. In effetti la biografia di Heisenberg nei dodici anni del potere nazista in Germania è un capolavoro di ambiguità. In più di un’occasione fu udito fare apprezzamenti della politica nazista e professione di fede nei suoi obiettivi di conquista dello “spazio vitale” in Europa e nel mondo. Ma dopo la guerra lo scienziato prova a dare di sé un’immagine più complessa e in qualche misura perfino tormentata. Un episodio, in particolare, si presta a questa immagine: l’incontro col suo maestro Niels Bohr nella Copenaghen occupata dai tedeschi nell’autunno del 1941. Heisenberg e Weizsäcker tennero dal 18 al 24 settembre alcune conferenze all’Istituto scientifico tedesco di Copenaghen, boicottate dalla maggioranza dei fisici danesi, ma che non per questo furono un insuccesso. Era stato proprio Weizsäcker a volere Heisenberg nella Lega dell’Uranio per contrastare con la sua autorità il potere dei nazisti di professione nella Lega. Heisenberg entrò nella Lega dell’Uranio nel 1940 e tanto era il suo prestigio che essa fu da allora effettivamente il regno dei fisici tedeschi. Ma nell’occasione di quelle conferenze a Copenaghen si lasciò andare ben più di Weizsäcker ad affermazioni sulla “necessità biologica” della vittoria tedesca che irritarono i fisici danesi e lo stesso Bohr.

Comportamento singolare, considerando che Heisenberg si riprometteva proprio di incontrare quest’ultimo, il suo mentore e maestro prima che Hitler salisse al potere. Ed ecco allora presentarsi la domanda: perché mai Heisenberg, il numero uno della fisica tedesca, a capo di una potente organizzazione che aveva come fine ultimo la costruzione della bomba nucleare tedesca, va a incontrare nel pieno della guerra e nel momento più favorevole al nazismo, in una Copenaghen occupata e ostile, il numero uno della fisica mondiale, il padre indiscusso della fisica quantistica, oppositore tenace del nazismo in ogni sua forma ed espressione, Niels Bohr?Robert Jungk, giornalista svizzero che raggiunse uno straordinario successo, forse il primo della cosiddetta narrativa scientifica, con il suo “Gli apprendisti stregoni. Storia degli scienziati atomici” (Einaudi 1959), non ha dubbi: lo fece a fin di bene. Lo fece per cercare di stabilire un’alleanza tra i maggiori fisici del mondo al fine di scongiurare la possibilità stessa di giungere alla bomba atomica. Guidato da questa convinzione Robert Jungk si spinge fino a scrivere nero su bianco: “Sembrerà un paradosso, ma i fisici tedeschi che vivevano sotto il tallone della dittatura, seguendo la voce della loro coscienza volevano impedire la costruzione di bombe atomiche, mentre i loro colleghi negli stati democratici, liberi di agire come volevano, salvo poche eccezioni si dedicarono con tutte le loro forze a realizzare la nuova arma”. Sembra in queste parole di sentire arrivare al gran galoppo le critiche all’occidente cattivo, che non conosce ragione, che non coglie i segni di pace, che rifiuta le mani tese. I fisici tedeschi seguono la voce della loro coscienza critica del nazismo e agiscono per impedire la costruzione della bomba atomica tedesca? Ed ecco invece i fisici dell’occidente libero che non ci dormono sopra, pur di arrivare per primi all’ordigno. Caricature, ieri come oggi.


Bohr poteva, anche dalla sua quasi prigionia a Copenaghen, arrivare ai suoi più autorevoli colleghi ovunque ubicati nel mondo. Del resto, Heisenberg stimava che fossero dodici, non di più, i grandi fisici da convincere, per poter dire di avere partita vinta e stabilire il grande accordo per impedire in Europa come in America la costruzione della bomba atomica. Ammesso e non concesso che proprio questo fosse il proposito di Heisenberg, e non piuttosto quello di convincere Bohr a salire su quello che si profila come il carro dei vincitori, oltretutto potendo contare su posizioni di assoluto rilievo, bisogna notare come lo scienziato tutto fosse meno che al di sopra delle parti. Heisenberg non è certo uno sprovveduto, è il numero uno della politica scientifica nazista, ha ben presente la situazione: il Reich è impegnato su due fronti, l’operazione Barbarossa ancorché partita col piede giusto potrebbe arenarsi nelle steppe sovietiche, l’America è prossima a entrare in guerra, il progetto di costruzione della bomba atomica richiede risorse pressoché illimitate che l’America ben più della Germania può vantare e oltretutto la politica razziale e razzista del Reich ha fatto sì che si venisse a creare di là dall’Atlantico una concentrazione di fisici e di cervelli, provenienti dall’Europa, e in primis proprio dalla Germania, che il Reich non può neutralizzare in alcun modo. Anche negli Stati Uniti ci si è messi in moto, sull’onda d’urto della scissione dell’uranio, e vede giusto Heisenberg: il 1942 sarà l’anno in cui quella straordinaria concentrazione di fisici e cervelli comincerà a essere, diremmo oggi, messa in rete. Si stagliano già sullo sfondo i profili del generale Groves, grande organizzatore dello sforzo atomico statunitense, e di Oppenheimer, quarantenne fisico atomico che si rivelerà il formidabile coordinatore della più attrezzata comunità scientifica della storia dell’umanità.  Insomma, se pure i propositi che portano Heisenberg all’incontro con Bohr sono quelli che proprio lui dopo la guerra si premura di chiarire e che illustrerà in una dettagliata lettera allo stesso Robert Jungk mentre sta lavorando al libro “Gli scienziati atomici” (non certo un caso), l’obiettivo che Heisenberg persegue va comunque a favore del Reich, non del mondo libero – con buona pace di Robert Jungk.


Ian Kershaw, autorevolissimo storico del nazismo e di Adolf Hitler, se solo fosse stato contemporaneo di Heisenberg avrebbe ragionato proprio nei termini sopra esposti e che con ogni probabilità erano quelli del numero uno tra i fisici del Reich quando incontrò Niels Bohr. Kershaw infatti non solo argomenta nel suo “Hitler e l’enigma del consenso” (Longman Group 1991, Laterza 1997) che “nella migliore delle ipotesi i tedeschi avrebbero potuto disporre di armi nucleari solo agli inizi del 1947”, ovvero con quasi due anni di ritardo sugli americani. Ma in quello stesso saggio, forse il più acuto mai scritto su Hitler, conclude che già prima di Natale del 1941 le sorti della guerra, che pure sarebbe durata ancora tre sanguinosissimi anni e mezzo, erano già decise e la Germania sarebbe stata sconfitta. Hitler era impantanato nell’inverno russo, come già altri prima di lui, e “non avrebbe potuto spingere il suo inganno fino al punto di convincere gli inglesi alla trattativa e gli americani a confermare la loro neutralità”. In altre parole, qualunque carta avesse giocato era spacciato.Davvero Heisenberg non subodorava niente di tutto questo alla fine di settembre di quello stesso anno? Chissà. Ma non era certo uno sprovveduto e se aveva voluto quell’incontro era perché sapeva che con Bohr non aveva che da guadagnare. Guadagnava se lo convinceva a farsi interprete di un accordo tra i più grandi fisici del mondo per bandire l’arma atomica ancora prima di aver messo in cantiere gli sforzi più massicci per costruirla; guadagnava se convinceva Bohr a schierarsi a fianco del nazismo quando ancora le prospettive di quest’ultimo apparivano superficialmente assai favorevoli alla sua vittoria finale; guadagnava se Bohr accettava di annacquare la sua posizione di opposizione al nazismo in nome di un quieto vivere, una sorta di neutralità quantomeno pratica, non certo ideologica, che avrebbe giovato al suo Istituto di fisica a Copenaghen e a quanti, tutti giovani, ci lavoravano. 


A fronte della possibilità di un qualche vantaggio, Heisenberg non vedeva invece che cosa avesse da perdere dall’incontro con Bohr. Senonché alla domanda di Bohr se davvero pensasse di poter utilizzare la fissione dell’uranio per la fabbricazione di armi nucleari rispose con grande sincerità, proprio contando di spingere Bohr in una direzione o nell’altra, che sarebbero occorsi senz’altro mezzi enormi, e ovviamente tempo, ma che la cosa era fattibile. Bohr, che fino a quel momento non aveva creduto che quella fosse una prospettiva realizzabile, si spaventò della risposta di Heisenberg; dopodiché non restò più molto da dire. Bohr non parlò mai più nel corso della sua vita né di Heisenberg né di quell’incontro. E qui a proposito di indeterminazione tra i due fisici che più si sono inoltrati nella selva di questo concetto, e di questa teoria, si rasenta il sublime. Dopo la guerra Heisenberg dà la sua versione dell’incontro, mentre Bohr scriverà ad Heisenberg undici lettere che però non gli spedisce e che verranno pubblicate per la prima volta nel 2002. Non sono così risolutive come ci aspetteremmo. Però in esse Bohr ripete che Heisenberg gli ha lasciato intendere che il “progetto uranio” stava facendo notevoli progressi. Per poi più esplicitamente concludere: “Ti esprimesti in modo vago e io ricavai come l’impressione che in Germania si stesse facendo di tutto, e sotto la tua personale direzione, per mettere a punto delle armi nucleari”. Difficile che Bohr avesse equivocato il pensiero di Heisenberg. Il fatto stesso che nel 1943, con l’aiuto dei servizi segreti britannici, passando per la Svezia, riuscisse dopo un’avventurosa fuga a raggiungere l’America dove si unirà allo sforzo per la bomba atomica ci suggerisce che in cuor suo sapeva di non averlo equivocato affatto.

Roberto Volpi

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