Il libro

Breve autobiografia della nazione, Cassese spiega com'è il Potere in Italia

Maurizio Crippa

Giurista, politico, policy maker, il professore dipana la rete da cui nascono le decisioni. Niente populismo, e “make the power visible”

Spesso si ricorre per scorciatoia un po’ sciatta all’espressione “autobiografia della nazione” per descrivere un fenomeno generale, sociale o politico, di cui si intravedono solo i contorni o qualche elemento. E tutto diventa un indefinito “carattere nazionale”. Nel caso del professor Sabino Cassese e del suo ultimo volume – “Le Strutture del potere”, una densissima intervista con Alessandra Sardoni (Laterza, 208 pp., 15 euro) – la tentazione di quella espressione è paradossalmente più giustificata. Davanti a questa minuziosa ricognizione sul potere – dello stato, delle magistrature, delle amministrazioni, dell’economia – è davvero come trovarsi davvero davanti a una “autobiografia della nazione” in una sola persona. Anziché applicarsi a concetti generali, l’analisi passa attraverso il vaglio e l’esperienza lunga e sfaccettata dell’autore-intervistato. Ci perdonerà il professore per questa che non è una celia, ma solo un aiuto alla lettura. Cassese, dice Sardoni, ha attraversato tutti i ruoli del potere possibili per una élite intellettuale (normalista di formazione) in un sistema di relazioni democratiche. Il potere di suggerimento dei centri studi, il lavoro di docente, il potere amministrativo e quello politico (ministro e capo di numerose commissioni), quello della magistratura (la Consulta), il ruolo di policy maker. Di qua e di là della linea d’ombra che divide il potere attivo da quello di influenza. Ma “autobiografia della nazione” indica anche che il libro è così denso di nomi, dettagli, episodi, di ricostruzioni di momenti cruciali della storia repubblicana – dalla morte di Mattei alle privatizzazioni, ai sottili passaggi della rielezione di Mattarella – che il “potere” viene reso plasticamente evidente nella sua essenza fatta anche di persone, di intrecci, di reti, di avvenimenti. Lo scorso anno il politologo e “civil servant” Antonio Funiciello ha pubblicato un bel libro sulle caratteristiche del potere politico (per l’esattezza della “leadership”, che del potere politico è un aspetto), costruito attraverso alcuni idealtipi, da Cavour a Havel, per intendersi. Là “la funzione di guidare” era individuata nelle sue sfaccettature da queste figure. Nella ricognizione di Cassese, attraverso la mediazione della sua intervistatrice – encomiabili la preparazione, la competenza e l’acribia con cui Alessandra Sardoni chiede conto di ogni dettaglio – il potere viene invece colto in azione: biografia per biografia. Anche solo per questo è una lettura di grande interesse. 

Non è un libro narrativo, ovviamente. A tema è il potere come “capacità di influire sugli altri per ottenerne l’obbedienza e vincerne le obiezioni”, spiega dalla prima pagina Cassese utilizzando Max Weber. E’ un discernimento delle caratteristiche dei poteri, e di come funzionano e sono stati utilizzati in Italia: una ricognizione sulle sue strutture profonde, il “deep state”. Che però, attenzione, qui è termine non  usato nel senso deleterio della  vulgata giornalistico-populista, “le forze occulte”, ma come il complesso reticolo di filtri, ruoli e bilanciamenti che producono il processo decisionale. “Make the power visible” è il contrario della visione complottista, è l’essenza di una democrazia funzionante. Il tema è dunque “come il potere si distribuisca e si sia storicamente distribuito nello stato italiano”. Cassese tiene a precisare di essere sempre stato attratto da studioso, pur nella sua multiforme attività, più dal “potere di influenza” che non dal “potere di decisione”. E questo è anche un prezioso indizio “biografico” sulla natura del potere italiano, in cui il peso e la bilancia delle influenze è decisivo fin dalla Costituzione. Dal primo nucleo di “potere d’influenza” (che ancora oggi affascina: il “Piano Mattei”), cioè l’Eni creata da un capitano d’industria capace di esercitare un “potere attivo” ma anche “persuasivo” nei confronti della politica (l’idea di creare una rete di giornalisti-suggeritori nei paesi di interesse energetico come la Tunisia, per citare uno dei mille dettagli gustosi di cui Cassese dissemina le sue risposte), all’esperienza fondamentale per il giovane studioso, ma anche per l’embrione di una visione riformistica dello stato attorno al “gruppo” di Giorgio Ruffolo e Antonio Giolitti: nel ’62 La Malfa pubblicava la sua “Nota aggiuntiva” sui temi di sviluppo economico e della programmazione per lo stato italiano, che Fanfani “ribattezzò dispregiativamente ‘libro dei sogni’”, racconta Cassese: ma è significativo che alcuni spunti di quel lavoro siano ricomparsi intatti oggi nel dibattito sul Pnrr. Un pezzo importante dell’establishment politico-economico italiano si forma in quegli anni, nomi e personalità destinate a segnare percorsi spesso collaterali alla politica, nei ministeri, negli uffici studi, in Banca d’Italia. In un rapporto dialettico con un potere politico che spesso considerava “culturame” l’accademia. Eppure, con puntiglioso equilibrio, Cassese smonta la leggenda della Prima Repubblica come potere oscuro e corrotto: “Il potere è stato nella Dc per un cinquantennio in virtù del suo radicamento sociale, per la sua capacità di designare una classe di governo, per il suo rapporto con gli intellettuali”. È stato reticolare, fatto di cooptazione ma anche di un sistema di flussi esteso: basta scorrere l’indice dei nomi del volume per ritrovare una complessità e una qualità di servitori dello stato spesso misconosciuta. Con molti, il professore ha avuto un rapporto personale e diretto. Cassese fissa nel periodo delle privatizzazioni una delle cesure chiave del potere italiano: una parte decisiva dell’economia esce dal controllo della politica. Un elenco di nomi e date che servono per spiegare che c’è stata più continuità che non arbitrarietà: da Amato nel 1990 a Draghi sul Britannia a Carlo Azeglio Ciampi alla stagione delle ristrutturazioni del potere bancario.  È nel complicato rapporto dialettico tra burocrazia pubblica, istituzioni e potere politico – il capitolo centrale del dialogo tra Cassese e Sardoni – che si comprende cosa sia il funzionamento (o no) del potere.

Un altro “deep state” in realtà più che decifrabile, frutto di abilità e del posizionamento, è ad esempio quello proverbiale di Cuccia: “Potere della competenza e potere dell’incrocio”. Una delle coordinate decisive del potere di condizionamento è infatti dato dal “trovarsi all’incrocio”. Dettaglio che appare, fisicamente, nella topografia  del potere romano: Parlamento, via XX Settembre, Palazzo Chigi. E persino nella topografia storica del “colle più alto”, il suo essere palazzo-reggia, ma anche palazzo-somma di vari regni che hanno fatto l’Italia. E la vicinanza simbolica del palazzo della Consulta (en passant, Cassese sfata con sopralluogo personale il mito di un inesistente passaggio sotterraneo segreto tra il Quirinale e i Supremi giudici). E poi le posizioni strategiche di alcuni poteri neutri: i capi di gabinetto, di enti pubblici, lo stesso segretario generale della Presidenza della Repubblica con il suo potere “silenzioso” ma influente. E la Ragioneria dello stato, il tipico caso di un potere che “decide ma non spiega”.
“Se sei un buon guidatore di autobus, lo guidi anche se a bordo ci sono persone con opinioni diverse”, spiega il professore al momento di chiarire la sua – ma anche di altri grand commis – collaborazione con politici e governi di diversa tendenza. E si arriva alla biografia dei poteri della Seconda Repubblica, con una riflessione sul cruciale sbilanciamento della magistratura (“i magistrati italiani si sentivano investiti da una missione ‘controllo della virtù’”). Fino al dilagare delle idee populiste, che sono appunto la negazione – per non conoscenza – dei meccanismi autoregolatori delle strutture di potere. Quelli che il nostro paese deve ripristinare al più presto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"