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l'altra opera

“Dio bono!”, com'è scatenato Manzoni quando scrive di morale cattolica

Antonio Gurrado

Don Lisander e quello che il carattere nazionale non vuol sentire. La riedizione del saggio sulla religione svela piccole e grandi perle dell'autore dei "Promessi sposI"

Sorge l’atroce dubbio che a scuola abbiamo letto per decenni l’opera sbagliata per Manzoni, e che invece dei “Promessi sposi”, ingurgitati con l’imbuto, sarebbe stato meglio esercitare la coercizione affinché gli studenti studiassero le “Osservazioni sulla morale cattolica”, appena riedite da Castelvecchi. Il curatore Arnaldo Colasanti si spinge all’eccesso di immaginare un’Italia diversa se il testo avesse avuto capillare diffusione; chissà. Di certo generazioni intere di ragazzi avrebbero sussultato, scoprendo un Manzoni scatenato hater, più polemista che apologeta, che spesso si lascia andare a una prosa scossa da attacchi di sarcasmo, quando non all’esasperazione dinanzi all’ottusità altrui, che lo induce a esclamare qua e là “Dio bono!”.

 

Troverebbero motivo d’interesse anche gli insegnanti e gli adulti in genere, sia gli iconoclasti sedicenti atei sia i fedeli più o meno bigotti. Scoprirebbero infatti come le odierne argomentazioni contro il cattolicesimo, che sembrano una ventata di chissà quale freschezza destinata a minare la Chiesa alle fondamenta, siano identiche a quelle contro cui si scagliava Manzoni, contenute nell’ormai desueta “Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo” di Simonde de Sismondi, discreto successo di pubblico nel 1808. Ovvero: la Chiesa predica l’umiltà ma gestisce denaro, i preti sono peccatori, fra i fedeli abbondano i lestofanti, la morale cattolica è antiquata, la religione è superata. Manzoni ne ha un sacco e una sporta per ciascuna di queste e altre congetture, riempiendo pagine e pagine dello stile che gli conosciamo, con paradossi spiazzanti, aforismi indelebili, verità lampanti a cui tuttavia non avevamo ancora pensato. Nei “Promessi sposi” sarebbero state benissimo frasi come “noi lodiamo l’uomo modesto come un concorrente che si ritira”, “l’uomo che soffre sa lui quello che soffre”, “la morale cattolica tutti la vorrebbero praticata dagli altri”, “combattere la fede, si chiama filosofia; parlare per difenderla, si chiama entrare in teologia”, “guai alla Chiesa se ella facesse un giorno pace col mondo!”. 

 

L’idea portante di Manzoni è che ogni obiezione alla morale cattolica derivi “dal trasgredirla, dal non conoscerla, o dall’interpretarla alla rovescia”, e che abusi ed errori da parte dei singoli non siano imputabili alla Chiesa poiché essa “non può prevedere tutti i paralogismi, né distruggere la logica delle passioni”. Ciò che di solito viene rimproverato alla morale cattolica, ossia di non voler estirpare il male in astratto ma di moderarlo il più possibile scendendo a patti con la sua concretezza, è per Manzoni il punto di forza rispetto a un’etica autonoma dalla fede (come quella di Kant, che però legge in una superficiale edizione francese). Se anche quest’ultima promette “di rendere infallibilmente buoni tutti gli uomini, col solo esser promulgata”, si scontra col non trascurabile fattore della libera volontà dell’uomo, scrive, per smuovere la quale c’è bisogno proprio di ciò che viene eliminato da una morale svincolata dalla teologia: bellezza e motivazione.

 

Come e forse più dei “Promessi sposi”, queste “Osservazioni” sono l’opera della vita di Manzoni. Stampate in prima istanza già nel 1819, un paio d’anni prima di dedicarsi al “Fermo e Lucia”, vedono l’autore accingersi nel 1825 ad aggiungere una seconda parte, che però resta incompiuta. In compenso, la prima viene rivista ancora a metà secolo, con una nuova edizione emendata che esce nel 1855. Il resto – in cui emerge un Manzoni più nervoso, non immemore dei toni sarcastici del Pascal delle “Lettere provinciali” – verrà pubblicato quasi quindici anni dopo la morte, nel 1887, a opera di Ruggiero Bonghi. E allora, perché non l’abbiamo letta? Perché dice cose che il nostro carattere nazionale non vuol sentire, e forse proprio questo motivo ha indotto Manzoni a scriverla. Identico spirito lo ha portato a pubblicare la “Storia della colonna infame” nella nazione più ipocritamente giustizialista d’Europa: è attaccata ai “Promessi sposi” e gli italiani non la leggono mai.

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