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Memorie

Un Meridiano ci restituisce le mille facce di Leon Battista Alberti

Giulio Silvano

L’umanista che “aveva nel cuore un raggio luminoso” ha realizzato il suo desiderio di diventare monumento per i posteri. Un libro di Giulio Busi ci ricorda tutti i volti di uno dei massimi architetti del Rinascimento

Nel film Quo Vado Checco Zalone, funzionario in un ufficio provinciale caccia e pesca, in una scena che serve a spiegare la differenza tra concussione e corruzione, ottiene come omaggio delle quaglie. Anche Leon Battista Alberti, umanista, tra i massimi architetti del Rinascimento, riceveva da Ludovico Gonzaga, signore di Mantova, delle quaglie, e considerava questo dono come un grandissimo segno di successo personale. Ma questo non è l’unico parallelo che serve ad accorciare i secoli e a mostrare che dal 1400 a oggi le cose non sono cambiate poi molto, e che se ricevi in regalo delle quaglie vuol dire che la tua carriera sta andando alla grande. Considerati i device e le rivoluzioni tecnologiche nella comunicazione, si tende a provare la falsa nostalgia di un passato mitico in cui l’umiltà regnava nel cuore degli individui e dove ancora non ci tentavano i demoni del selfismo, dell’auto storytelling e della creazione di una narrazione falsata del sé.

Ma questi non sono tic esclusivi dell’epoca contemporanea, perché l’Alberti, nato nel 1404 a Genova e morto nel 1472 a Roma, "è maestro in molte cose. Soprattutto un maestro nella rappresentazione di sé stesso. Autorappresentazione come strategia di difesa e, riuscendoci, di successo”. Lo scrive Giulio Busi nella prefazione di questo elegante Meridiano Mondadori, appena uscito, dedicato alle opere di Alberti, dal titolo Cantieri dell’Umanesimo. “Aveva nel cuore un raggio luminoso grazie al quale riusciva a presentire la benevolenza e l’odio degli uomini verso di lui”, scrive Alberti di sé, nell’autobiografia. Nel suo scritto Busi ci permette di vedere l’uomo, spigoloso e sarcastico, lo studente svogliato di diritto a Bologna, il wanna-be camaleonte, il rancoroso esiliato che torna nella Firenze degli avi, e poi il racimolare soldi come consulente balistico e militare, il rispetto di Pio II, la misoginia galoppante, il conservatorismo brillante, Roma, Rimini, Mantova. Presentare queste debolezze, comprese la vanità e il desiderio di diventar monumenti per i posteri, ci permette poi di leggere la vasta e poliedrica opera senza dover stare chinati davanti al sommo maestro dell’Umanesimo come fossimo in un tempio. Attraverso le opere viene mostrata la duttilità caleidoscopica e questa, forse, a differenza del lavoro sull’autorappresentazione, sembra veramente appannaggio solo di un’epoca in cui l’iper-specializzazione non era considerata un vanto. L’epoca dei renaissance men. Importantissimo il testo dell’Alberti sull’architettura, scritto sul modello vitruviano, ma anche il De pictura dove vediamo studiata scientificamente per la prima volta la prospettiva, divertenti le sue opere comiche, come il suo romanzo antiutopico Momo, fino alla trattatistica morale e alle rime.

L’uscita di un Meridiano a lui dedicato dimostra che l’Alberti ce l’ha fatta a restare glorificato nei secoli, considerato che gli ultimi volumi della collana sono quasi tutti dedicati ad autori novecenteschi. E poi la sua statua è dentro una di quelle nicchie del piazzale degli Uffizi, tra Donatello e Leonardo, sopra gli artisti di strada e i caricaturisti, scelto come una di quelle colonne dell’epoca d’oro del Granducato, come rappresentante del best of della Toscana. Il monumento potrebbe però diventare bersaglio di vernici rosa, se solo alcuni individui rabbiosi leggessero le frasi contro le donne dell’Alberti, quindi meglio non dirlo in giro. Ma in fondo, se si buttasse giù, resterebbero comunque le sue architetture, come quella facciata di Santa Maria Novella che appare ogni giorno come sfondo nelle foto-cartoline dei turisti internazionali.

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